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52 | l’altrieri |
quelle brutte cose che se instintivamente ci òbbligano un sorriso perchè un granello di cattiveria l’han tutti danno, ragionàndoci sopra, i brividi; da qui ne venne una tal fama di straccio por il maestro di terza che gli studentelli, i quali dovèano entrare nella classe di lui alla rifioritura dei grisantemi, volgèvano già nella mente, guardando, attraverso i vetri, la neve, quali sorta di burla gli avrèbbero allora accoccate.
Nè solo i ragazzi. Ogni uomo è il guancialino da spilli di qualcun altro; Ghioldi lo era di tutti: fra i molti, dei Proverbio. Infatti, essi sfogàvano sopra lo sfortunato l’aceto loro; il primo se la prendeva con lui quando non trovava il cappello, quando le costolette — sua colazione abituale — mancàvano di osso; l’altra apriva un diavoleto, se lo zùcchero che egli le comperava (chè molte fiate quel povero cacio tra due grattugie, fidando alla direttrice noi, correva ad eseguire le commissioni di lei — il che ci seccava oltremodo per il naturale manesco della facente funzioni); se, dico, i rottami di zùcchero che egli apportàvale èrano piuttosto otto che nove come l’ùltima volta, se èrano quadrati, non tondi....
Dunque — qui osserva il mio amico Perelli — che serpeggiava nelle vene di Ghioldi? Latte?
— Ah! no, non dir questo — chi può contare le sue segrete trafitture? chi, le làgrime gocciàtegli nel silenzio di una notte?... Pure, l’abitùdine — quella ladra tiranna che già faceva crèdere lo sciaquamento delle bocche a tàvola, una pulitìssima, una elegantìssima usanza ai nostri padri eccetto, intendiàmoci bene, a colùi che, pesce nuovo, si trangugiò la sua aqua tèpida) quell’abitùdine che noi persuade,