un panno, come fischiàvasi, c cr ne Io provavano i buchi dei chiodi, fòdera dismessa di una
qualche carrozza.
— Eh? — interrogò egli con una di quelle
voci, ràuche, sempre infreddale, che aggricciano i nervi.
— Vi dico di tacere.... cribbiani ! — ripelò
impazientilo il maestro.
— Ma io dormiva — esclamò sbadigliando il
ciccione — io mi sognava, io.... aali — e cadde
pesantemente, facendo le mostre di riappiccare
il suo sonno.
Ouf !
— E tùppete ! — gridò in falsetto un màmmolo nel rovesciare, colto da gioja improvvisa.
Vatramentùrium sul libro del suo vicino ; il
che, con giudizio statario, gli procurò uno sea-
pezzone.
Ghioldi si avanzò bruscamente :
— Dunque, non volete finirla ? — disse, c
le sue mani tremavano. — Devo proprio condurvi dal direttore, devo ?
— Chi ? — rimpolpeltàrono percolilore e percosso sporgendo i due musini crucciati.
Lo Spolveraccio guardò con disperazione la
vòlta.
E io — in questa — mi trovava nella più
diffìcile delle posizioni. Viaggiando il mio sguardo continuamente dallo scrittoio alle panche,
se davo ne* fanciulletti che mi solleticavano con
gli occhi, e nei loro gesti burloni, nei dàddoli,
negli sberleffi, io, un frùgolo al pari di essi,
mi sentiva il morbino, non me ne potevo tenere,
ridevo, mi divertivo.... Ebbene — di botto — la
mia allegrezza la diventava di pane caldo, nello
scontrarmi in Ghioldi, n«*llo scontrarmi in quii-
la pàllida faccia, senza speranza, avvilita, con
pelle pelle, lì per scoppiare, il pianto.