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Panche di scuola 39

lastrini, sui quali — fra alcuni vasi a fiamma di pietra — aggomitolàvansi di que’ barocchi nani in arenaria che già facevano, dalle risa, saltare i bottoni agli affiorati panciotti de’ cavalieri serventi, e, dalla paura, abortire le loro damine; — e — dietro al graticcio, vedèvasi sgambettare, dar alla palla, altalenare, tuttochè sur uno strato di neve, un nùvolo di fanciulletti. Aperto il cancello, la nostra berlina svoltò lentamente: accompagnata da un bracco, che festosamente scodinzolava e faceva bau bau, giunse per l’inghiarato a un peristilio psèudo-greco-romano.

Tutto brillava, scintillava ad uno schietto raggio di sole — le vetriere del fabricato, le gronde, le banderuole di latta, la piastra Assicurazioni incendi, la soprascritta dell’istituto (lèttere d’oro su fondo turchino), cioè: Collegio-Convitto prìncipe di Gorgonzola, e — sotto — la testa calva, fregata quasi con chiara d’uova, gli occhiali e l’aurea grossa catena del l’orologio su raso nero del direttore-proprietario medèsimo. Il quale, rotondo come una mortadella, dal frontispizio fiorilo, olïoso, con un solo cerchio di barba intorno al mento, pavoneggiàvasi là, tra due colonne del pòrtico, per avvertire a’ suoi scolaretti e insieme godere di quella finestrata di sole — le gambe aperte, le mani in saccoccia, scuotendo e riscuotendo soldoni. Proprio, a modo di un albergatore di campagna: non gli mancavano che il berretto, il bianco grembiale e, in giro, nell’aria, un profumo d arrosto.

Come peraltro ci scôrse, cessò di fare la ruota. Fu lui che ne sportellò la carrozza e scese lo smontatojo, che offerse il braccio a mia madre e trasportò mè a basso, che infine, ricevuta rispettosamente da babbo una stretta di mano, si prese il piacere, anzi l’onore, scambiando ad