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Nel luogo verso il qual trottavamo era un ben avvialo negozio di scienza che andava sotto il nome del professore Proverbio, un degnissimo uomo, imbastitore di una grammàtica e di una antologìa di brutte lèttere; due libri che avèvano fatto ottenere la croce di cavaliere e la immortalità sul gran dizionario-ricatto de’ viventi scrittori. Proverbio e la casa di lui, mio padre, li avèa conosciuti a propòsito di certe botti di vino loro vendute e ne restava invaghito: rivìstili gli s’impiombavano le simpatìe.

E in verità, se la bottega non la poteva chiamarsi di prima classe, non lo era nemmeno di terza, oltre di che piantàvasi un cinque miglia solo distante da noi, incantinava del vino eccellente (e babbo se ne teneva) poi... in poche parole — ecco una gazzetta: La voce del gran San Bernardo:

Il prof. cav. Giosué Proverbio — essa stampa nel Minestrone delle Notizie — per soddisfare ai desideri di questa colta città — (e mette lo stesso il commendatore Marfori, prestigiatore) — volle — a ragione di tanto sagrificarsi alla gioventù fondando un Collegio-Convitto ùnico nel suo gènere. La posizione ne è eccezionale; il locale, il più confortàbile.... Trenta professori, senza contare i bidelli, un’impiallacciatura di ogni scienza a prova di tarlo, letti al sicuro dei centogambe, catechista senza pidocchi, infine.... — l’occhio perspicace di un padre, la mano premurosa di una madre — e — quattro piatti a tàvola, frulla, formaggio, con un bicchiere di vino. —

Il casamento era isolato. Rassomigliava, in complesso, a un dado immenso. Tègoli rossi, gelosìe verdi. Intorno intorno, gli correva un murello, interrotto quà e là da ingraticolati a pi-