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32 | l’altrieri |
alcuni angioletti dagli àbiti a strappi, i pie’ nudi, l’ali di cartone sotto le ascelle. Il marchese avèa la faccia sbattuta, silenziosamente disperata. Pàllido forse al par di colèi che se n’era partita, egli si diresse al suo nero cavallo, raccolse le rèdini, montollo. Poi — di galoppo. Nè mai più l’incontrài.
E quella sera, sdrucciolàndomi in nanna, di quanti baci, di quante carezze, oh! mi tempestò mia madre! La mi stringeva a lei, la mi guardava passionatamente e due lagrimone le tremolàvano, le scendevano per le guancie.... Cara, dolcissima mamma, — e perchè palpitavi?
Panche di scuola.
I.
Il grattacapo de’ mièi genitori stava, come già sapete, nel mio avvenire. Generalmente essi ne ragionàvano a sera, quando, divisi dalla tàvola, babbo schizzàvasi un rèbus, mamma intelucciava, mendava qualche mio tòmbolo e, loro presso, in una poltrona, il vostro amico scrittore se la dormiva. Secondo mio padre, io era uscito a questo mondo apposta per la diplomazìa. Egli me ne scopriva, credo, la vocazione nelle molte bugìe, nelle fandonie, che gli vendevo ad ogni momento ed egli, uomo cui si sarebbe tolto, senza che se ne accorgesse, il panciotto, m’imaginava giojosamente là, dritto, intirizzito, in giubba verdona, spada, calzoncini e scarpette, a dòndoli, ciòndoli, — come un cereo personaggio da fiera — il cuore in