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30 | l’altrieri |
letto, venìvane con un volto affilato, le occhiaje morelle, ingarbugliati i capegli.
— Guido — affoltò essa d’un tuono ràuco, — ti cercavo a punto.... Tua madre dice.... dice che non ti muovi abbastanza. Vuole che ti muova, tua madre.... Qua dunque — e bruscamente s’impossessò li mio braccio.
Io l’adocchiài con ansia, alitando. Ma ella non si trovava in vena di dire; io, d’interrogare altrimenti.
Così, noi ci avviottolammo più che di passo per quel cammino affondato tra due poggetti che erbeggiavano con un verde smagliante e sopra i quali curvàvansi flessuosi olmi — il preferito cammino di Gìa, tuttochè i suòi pieducci v’intoppicàssero ne’ ciottoloni o, soventi, restàssero nelle profonde rotaje. Da molto io non l’aveva più tocco. Pamporcini, more, vi èran spuntati a bizzeffe: oh si! potevano fioreggiare, insaporirsi a loro agio.
E noi procedevamo, tutti e due sopra fantasìa, atterrati gli sguardi; io imaginava sempre vedere, in mezzo alle fortimpresse orme di una scarpaccia a chiodi, le fresche leggiere traccie del borzacchino di Lisa.
E va e va, svoltammo alla fine in un pratello fuori di inano, abituale nostra fermata.
— Se’ stracco? — domandò Nencia sostando.
Io non lo era affatto. Nè vi avèa perchè. Pure la volli imitare: siedetti.
E lì un fastidioso silenzio. Nencia si appisolava o ne faceva le mostre.
— Neh — dissi allora tiràndola per un gherone — e Gìa? —
Che ghiribizzo died’ella! Guatommi come l’avesse con mè, le imbambolò la pupilla e, gonfiandosele il viso.... Ma no — si rattenne.
— Guido — scoppiò poi a ciarlare con ec-