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Lisa | 29 |
illuminata di faccia, tremolare la gigantesca ombra del vecchio dottore dall’adunco profilo. Pensate voi se chiusi presto palpèbra!
Dal mattino seguente in poi, stette, la finestra di Gìa, serrata; quella finestra alla quale sì spesso ella si affacciava a salutarmi, a sorrìdermi, a discèndere verso mè un secchiolino, affinchè io lo empissi di fresca aqua pel suo mangiapinocchi. E insieme a quella si serrò anche il mio cuore.
Io mi stabilii allora alla porticina che conducèa dal marchese. Là vi appostavo chi usciva.... domandavo loro.... che domandassi, è inùtile dire. E molte e molte volte vidi aprirsi le imposte davanti a mamma, a Nencia, al dottore. Dio! che lanciettate. Afflizione, travaglio, respiràvan sempre le prime; l’altro, nel ritornare al suo rinsaccante ombroso bidetto, portava in sghibescio il cappello e doppiamente lunga la faccia. Quando poi si confondeva ogni ombra — niente mùsica, niente lume in sala — di buon’ora mi si metteva a dormire, e mamma, nel suggerirmi — dolce illusione — le preci, vi ricordava il nome di Lisa. Ve l’assicuro: ben più di una volta, esso era ripetuto da me.
E la bindella dei tempi, senza capo nè estremo, continuò a svilupparsi.
Diciamolo, quel mattino, com’io, secondo l’usato, m’indirizzava al mio posto di guardia, un accoramento, una voglia di pigliarmela con qualcheduno mi tormentàvano. Erano i mièi genitori, è vero, parsi, la sera innanzi, sciolti dall’inquietùdine, dall’agonìa de’ giorni andati; ebbene, la loro inamidata tranquillità, il loro far grave, m’impaurivano al doppio, mi stuzzicavano a ricondurmi alla nota porta, grigia, dal martello di ottone. E questa, avvicinandola io, si chiuse: Nencia, nell’aggropparsi un fazzo-