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20 | l’altrieri |
banda si componeva di uno zùfolo, un tamburo stonato, e due coperchi di casserola).... marciammo verso la casa.
Babbo dormiva. Dormiva precisamente nel suo fresco studiolo, dove ogni dì, dopo il pranzo meridiano, egli si ritirava con qualche gazzetta, oppure, con un certo libro piuttosto grosso
- un libro del quale non mi sovviene il tìtolo, ma benìssimo due pàgine giallo-rossastre, macchiate di calle e di vino, con una carta da tresette per segno (le sole pàgine, credo, che conoscessimo, io e babbo, di lui) quando.... Vìi!
fu proprio peccato, svegliarlo. Che faccia assonnata ci mostrò egli nell*aprire ai nostri picchi l’uscio, comparendo in mànica di camìcia, mutande e pantòfole! Tuttavìa non ci rabbuffò: al contrario: raccomandatoci di andar pianini pel bujo, intanto ch’egli tastava a sbarrar le imposte, e sedutosi allo scrittoio, coll’aria hi più buona del mondo chièseci che volevamo.
Io allora, gloriosetto, deposi sopra la tàvola il prigioniero legato e, dal c’era una volta un rè a la panzana è bella e finita, spilferai su la cosa.
— Bravissimo — disse mio padre, soppesando il pollastro. E tòltasi dal borsellino una lucente lira, me la chiuse in mano.
— Vi ha — aggiunse — molti topacci in giardino.
Io ne dò un soldo la coda.
— Morte ai topi! — gridài con ferocia.
— Morte! — echeggiarono i miei.
Babbo si mise le palme alle orecchie.
E — quel giorno — fu la gran festa per tutti noi. Io aveva montato un piuolo nella stima di babbo, il mio esèrcito sgretolava un cartoccio di màndorle confettate, segno della mia alta soddisfazione, e quanto a Già. In si sentiva allegra come rondinella reputandosi la