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Elegia 285 mai i podi, a volle, li hanno uditi parlare. Le sue narici, un poco all’insù, un po’ espanse, sagaci. La castagnina capigliatura, sciolta, l’a- Vrcbbc tutta coperta. Le manine poi di una trasparenza di perla, azzurrate di vene.... Chi Ir baciava, bealo ! Hd ella era tVinyerjno. Per leggermente che voi con la mano le aveste sorraso il fil delle reiii, ella ne sobbalzava e raddoppiava il sobbalzo. La fiamma vitale, lambente la volta del cranio, aliinenlàvasi in lei nell’implacàbile siero, gcnioso. Non leggeva ella i libri ma i loro autori, non gli strumenti sonava ma le armonie, amava, non faceva aH’amore. Presente lei, oh quanto gusto s’avèa a dir belle cose ! Senoncliò, per questo medésimo troppo, il suo ingegno non poteva non èssere improduttivo, non consumarsi tutto in se stesso, com’ò di quelle mostruose bellezze sforzale dai giardinieri. Poiché mancavate allatto quel tanto di non-ingegno che si traduce in isgobbo, divulgatore degli uòmini grandi, e che guidò tale, sì confondendo l’esplicazione con l’essenza del genio, a definir questo «pazienza». Ma, quel cli’ù più, l’ingegno di lei era simpaticissimo ; non di quelli, cioè, consci, orgogliosi, i quali ci tèngono, per così dire: tre passi indietro col cappello fra mani, ma uno invece modestamente baldo, inconsapevole, piano, come la Verità prima della invenzione de gli àbili ; ingegno, che tanto non camminava per il ditTìcile, quanto pel fàcile, che guadagnava, non s’imponeva, che non cercava mai e sempre trovava. Insomma, un ingegno che conducòvala al buono. La penna di lei avrebbe potuto lasciarci il mite idillio, non l’aspra sàtira dal male di fégato. Alla luce serena degli occhi suoi, al si o sorriso soavissimo disapprendòvasi il male