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CAPITOLO DECIMOTERZO 257

«Fuori, intanto, aspettava il calesso del sò- cero con su dipinto il tarocco del gènero. Vi s’allogàrono il babbo, la mamma, e la sposa. Andalò, venne con me nel mio brougham ; gli altri, in altre carrozze. E cosi : uXon! /Iute et lasse Et rioìon, zon. zon ! „ accompagnammo alla stazione gli sposi, e.... notte felice ! — Notte inìqua ! — Alberto esclamò. — E adesso — riprese Fiorelli — èccoci alla mia avventura ! Nel ritornare, dico a Giuseppe, il cocchiere, di prèndere a dritta la via di circonvallazione. Volevo passare nel borgo di Porta Fiorita per dare un’occhiata alla Togna.... sai, quel biondone.... — No, davvero, non so. — Giù ; non è un libro.... Siamo dùnque in cammino, quando Giuseppe picchia in un vetro (io lo basso) e mi dice «guardi». Guardo. Una cittadina, dinanzi a noi, va in isbieco, in biscia, e ne sortono grida «Fèrmala!» dico. - Ferma » vocia Giuseppe.... Sì, aspetta ! La cittadina tira di lungo. Allora il mio uomo, lascia die la si avvicini alle piante, oltrepassa, e le attraversa la via. E quella, investendo un mucchio di ghiaja, rista. Apro lo sportello ; s’apre anche l’altro, ed ecco uscirne due donne.... — Due meraviglie, eh ? — fece Alberto in tono motteggiatore. Avèano giù la veletta — oppose iMorelli. — Ed una, avanzandosi a me, che andavo vèr lei, disse che il loro cocchiere dovea èssere brillo. «Altro!» io esclamo «dia un occhio». Ei già dormiva e russava. « Il cocchiere » ella disse «giungendo dalla stazione, in cambio della barriera, ha tenuto per qua....» — «Recan- Dncsi. 17