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CAPITOLO DUODECIMO 249 brajo a Firenze ne avea già forse in vetrina, cioè ! non pensando.... io credo.... anzi ! sono sicuro che sì, e che fosse appunto per questo s’egli arrischiava tale incendiaria promessa. In quella, àpresi l’uscio ; e Paolino, in tanto di cappa-nera, gli annuncia : — La minestra è in tàvola. — — Non mi seccare ! — fà Alberto, grazioso come un’asprella. E il servo : — Ilo da metterla al caldo ? — No ! — sciama rabbiosamente l’amico — 10 11011.... non ho fame, hai capilo ? — Sul che, Paolino, vedendo nell1 almanacco una luna, azzitlisce e via via. E allora Alberto pensò, che a lui capitavano tulle. Fe’ a larghi passi la stanza. Chi più infelice di lui ? E chissà quanti dolori (cui non avea ancora avvertito) lo serravano intorno !... gira gira col capo, se ne persuase talmente, che si cruciò, accasciò.... Ma, e che ? dei dolori aH’asciutto ? per cui buttossi sul letto. E vi si pose a frignare. E, dàlie e dàlie, pianse. Ma Alberto, chi 110’l capì? era in un mondo che roteava a furia di spinte. Le lagrimuccie gli finirono presto ; ed ei levò dal cuscino la guancia, un po’ timoroso di scontrare qualcuno che ridèssegìi dietro. Non taci amo però, che 11 suo ventre gli borborava da saggio. Comùnque, il nostro bimbo-in-cilindro scese dal letto, lo riaggiustò e die' un occhiata vogliosa alla porla. Pur tuttavìa, prima raccolse il gettalo volumi*, e, fattosi ad una finestra che il giorno moriva), più che con gli occhi del senso, con quelli del sentimento, lesse: