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vita di alberto pisani |
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d’ho tra le mani un romanzo, sgraziato o pel
formalo o pei tipi, o quando l’odor della caria,
che puzza ancora di cencio, mi fà starnutare
su versi dalla fragranza di rosa. Che se poi è
illustrato, Dio mio ! per quanto mi astragga,
per quanto io mi faccia suo allore, tuttavìa,
bisogna lo legga con gli occhi ; dùnque, bisogna
"he soffra lanli intrusi ignoranti o maestrùeoli
oziosi, che intercalati nel testo tagliano in due
l’idea dello scrittore e la mia, o rompono, con
un cul-de-lampe stonalo, la dolce armonìa di
tulio un capìtolo.
Tornando a noi, cioè a dire ad Alberto, egli
non rifiniva a mirare il suo elegante volume
e di sopra e di sotto, senz’arrischiarsi ad aprirlo. E il cuore andàvagli a vela ; non che pensasse a colei per la quale avea scritto, non che
temesse la giornalìstica eunueomachìa , non
sovveniva neppure rammatlimenlo trascorso e
nel lavoro di testa e in quello di schiena, nè
le stracchezze, gli scoramenti, il pianto. Ora,
di tulio il suo libro, Alberlo non iscorgeva se non
la materiale edizione ; gli avessero chiesto che
conteneva, avrebbe sorriso intrigato.
Finalmente, lo schiuse. Xe uscì un profumo,
degno di un fazzoletto-battista. La caria era una
pùnera doppia e in essa allondàvan le lèttere,
come i cialdoni nella neve-di-lalte.
Ma Alberto, nell’adocchiare su e giù, lesse :
mac.
— Mac? — si chies’egli — ceche dir vuole
i»
mac? — E tanto con la memoria era lungi,
che non capì sul bel primo che non volea dir
nulla ; almeno, in quell’ora.
— Mac? — ripelò; e, per chiarirsi le idee
incominciò a lèggere dal sommo :