Questa pagina è ancora da trascrivere o è incompleta. |
Insoddisfazione 213 con le volte più tonde per un vèrgine corpo, sdutto, sveltissimo. E ritornava ai capegli, e vi scopriva un bottone di rosa. Oh felici le mani che ve l’avèano messo! Pur non èran le sue! e, sospirando, invidiava colui del quale la giovinetta sognava. Or, chi era colui ? Più di una volta, ella avea arrossato, e non di certo pel calor della fiamma. La giovinetta «sentiva» la presenza di Guido; stava, direi, in una attesa vaga, che la mano di lui le frisasse la spalla; e desiosa e temente. Oh! com’egli era gentile! La ostina non poteva fuggire di confrontarlo con que’ suoi roz/i paesani, che non venìvan da lei se non per pigliare la sbornia e attaccar delle liti, e le dicevano brutte e villane parole, e le buffavano in faccia il lor ributtante tabacco. Poi, quanto bello! ^quì la ostina aggricchiava). Essa ancor lo vedeva con quel suo viso aperto, dal velluto di pesca, il sorriso che rischiarava, la pupilla azzurrina, buona come la stessa bontà. Ma «lui» era ricco, lui! «essa» lavava i piatti! E lì, gonfi gli occhi, affisàvasi giù. Momenti, per tutti e due, di un acuto languore; momenti fuor dagli spazi e dai tempi, in cui scor- gèano, in una, migliaja di cose e di affetti a indefiniti contorni; momenti, che la mùsica solo — uni- vcrsal lìngua — saprebbe narrare. Il silenzio, profondo; il cielo, stellato. E così stettero? quanto?... Non guardai l’orologio. So tuttavìa che sarèbberci stati mol’o e molto di più, se dalla chiesa vicina non fòsser piovuti sulla osterìa, gravi, severi, lenti, ùndici tocchi. Quella, era una voce che rassegnata diceva « il tempo passa ». E tàque. Ma, quasi contemporaneamente, udissi un «trac» nella stanza. Tosto, il grido aspro del cùcùlo ripetè l’ora. E questo, un corollario maligno alla sentenza del campanile. Parca dicesse «dùnque, svelti!» E, «trac», l’usciolo si chiuse. La giovinetta si alzò con premura. Venne alla tàvola, tòlsene una stoppiliiera, e, tornata al camino, chinossi e l’accese.