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CAPITOLO DECIMO. \ppesa al fuoco la pentola nella casina del mago, una settimana dopo, Alberto riusciva a coprire di nero un foglio buono di bianco ; nè, rileggendo, stracciava. (iià dissi ; il hocco della difficoltà è il principio: elle altro brama Arlecchino, (piando vuol porre assieme una lettera ? Cosi, fatta una volta la prima, si va, eh è un piacere, fino all’ultima maglia ; quel pcrioduecio, in cui abbiamo potuto, senza guastarla, accalappiare un’idea, ne invoglia a ripètere il gioco ; le pàgine chià- maii le pàgine ; la stessa oltrepassata fatica, perchè non vada perduta, spìugene a nuova ; e, a poco a poco, prendiamo la piega del fare ; ancora un colpetto, èecoci artisti a màehina. K (pii si nòli, come noi ci adusiamo a pensare in date ore, luoghi e posture : l’amico nostro. ad esempio, innanzi al meriggio, cammin facendo, nel camposanto. Pur non crediate, ch’egli là passeggiasse a covare malinconìa. Per sè, un cimitero non è nè triste nè allegro, ma, al pari del mondo su-lerra, è a tratti, ora l’uno, ora l’altro. Vi ha bene il morto di fame, ma quello anche <!’indigestione. Tuttavìa, ai presenti miei occhi i (piali non sono gli stessi di jeri e non saltassi. 13