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vita di alberto pisani |
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(dovea tormentarsi il cervello) ; addentò la cannuccia ; nulla !
Senonchè, togliendo questa di bocca, gocciò
a mezzo del foglio una macchia. E Alberto,
soprapensieri, pòsesi a racconciarla ; le aggiunse una testa, una coda ; e non s’accorse di pen-
neggiare un caguolo, se non a lavoro finito.
Pensate come dovette istizzire ! Lanciò lontano
la penna, slrinse, gettò per terra il fogli tizzo ;
fu per gettarvi il calamajo financo, ina si rat-
lenne, avvertendo al tappato. Convenzionalissima ira !
E si lasciò andare sdrajalo nella poltrona
(tra noi, più che còmoda in maledendo e il
poco ingegno di lui, ed il caràttere brutto ;
disse che la iniaimiazioiie ùraidi imbozzacchì-
o n
ta; chiamò in soccorso i suoi favoriti.... Sterne,
Thackerav, Porta.... E Porta, Thackeray, Sterne, tennero mano alla pollronarìa di lui.
Al martedì ! L’amico bello — fermo stavolta
di vincersi — p ri limi di tutto, cambia la sua
pigra poltrona con una sedia di pelle duramente imbottita. Fede di Vincere, fà : ma una
colazione abbondante impaccia ad Mherlo la
virtù volitiva.
Inoltre, com’egL è a scriltojo, un raggio di
sole, battendo in una vetriata di faccia alla sua
e riflesso, Viene a baluginargli a più riprese
negli occhi. Egli si leva, socchiude gli scuri ;
ed ecco rillimiinello lampargli per altra via.
Abbranca il tavolino egli alloro, e lo trasporla
in parte diversa ; torna a sedere, bagna la penna ; ma il tavolino, di cui solo tre gambe toccano il pavimento, si mette ad ondare.
Cristomarìa ! Alberlo balza in pie’ spazientito,
e intanto lo sguardo di lui cade su 11 taccumo,
il quale segna il dì tredici. Chi è che non sa
come noi siamo superstiziosi, cattivi, quindi an-