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146 vita di alberto pisani

amore, questa inùtile vita, dimentichiamola in mezzo ai piaceri. Dopo, che ci può èssere mai ? Abbondano le risposte, ma chi le detta è mattissimo orgoglio, cpiel tale orgoglio che ci là copie di un Dio, e insegna come la provvidenza cresca la lana all’agnello per riparare dal freddo noi. Dimando io, prima d’uscire alla luce, che fummo ? Se siamo immortali, perchè principiammo? Xè mi toccate a scusa l’oblìo; il vostro oblìo è il mio nulla. lì Alberto qui s’allìsò in una lunga lungliie- ra di stranissime idee, giunte a fila di ragno. Sfido la penna a seguirlo ! Ma, se anche il potesse, la ratterrei ; io non voglio che voi, o lettori, abbiate a lasciarmi in un accesso di disperazione; (piindi, alla chiusa! Alberto si scosse, scese dall’orlo deirarmadietlo, e borbottando «carpamus dulcia, nostrum est quod vivis passò nella stanza da letto. Andava a pigliare il cannocchiale e il sopràbito. Aqua ! che slancio. Ma pensò, prima, di lavarsi la faccia : tòltosi e la giubba e il panciotto, si trovò la camicia non fresca. Fuori dùnque i cassetti ! questa qui, 110 ; quella là, neanche ; scèlsene finalmente una battista a lattuga. La (piale nuova camicia chiamò un altro panciotto, come il panciotto gli fé’ mutar, ben'inteso, e i calzoni e la giubba. Ma intanto le sue lunàtiche idee scioglieva usi, sì che, allo scricchiare di due stivaletti lucenti, non èrano più. Cari miei, altro che lìbero arbitrio ! molte volle si pensa come vuole il nostro àbito. Esempio, me. Quando sono a Milano, in cilindro, in marsina, guantaio, con un sentore di muschio, leggo la Perseveranza fumo cigarelti di caria ed esclamò: sapristi! Mi vedeste