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CAPITOLO TERZO 135 intravisto cose non sospettate. Gli altri s’èrano affollati intorno allo scopritore, cercando essi pure vedere, chiedendo l’un l’altro. E lì, nuove parole venivano mormorate e si stancavano i dizionari più del dovere e circolavano alla nascosa imàgini c libri, di que* clic vèdonsi con la mano sinistra. E i giovanetti, allora, non ridevano più alle ambìgue spiritosità de* babbi c de’ zii ; invece, arrossivano. A volte, alcuno, fuggia il bacio di mamma. — Ma che ha il nostro Giorgetto ? — questa dicea al marito, la sera. — Come ingiallisce, n’ò V — e ricordava il latte-e-vino fanciullo di due anni addietro. — liali ! — rispondeva il grosso papà volgendosi fra le coltri; — mali di giovinezza. — Sogghignava un pochino, poi si metteva a russare. — O spose ! — sospirava la mamma — a che verginità e candore ? — E intanto il Giorgetto imbalogiva vieppiù ; avvelenava l’ànima sua e il sangue de’ futuri ngii. Osserva il mio amico «lu calchi troppo la penna ». — Vero : ma qui non sono io che pensa, è Alberto ; e, in via morale, ciascuno, vede.... quello cli’ò predisposto a vedere. In verità, ben pochi de* compagni di Alberto èrano quel che sembràvano o volèan sembrare. Per esempio, Bico Eiorelli ! a sentirlo, una sbòrnia ogni dì ; sempre ribolle, sempre allegrìe ; in fatto, si coricava a nov’ore e non si arrischiava, al calle, olire l’àqua di pomi. E Poppino Milesi ? Poppino, è vero, sul corso, in compagnia d’altra lattuga d’orto novello, avea risposto «va e lavora» a un pòver’omo sfinito