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vita di alberto pisani |
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di lei, ùnica fortuna sua che or le tornava in disgrazia. — Intanto — ciò vèr gli straccioni alle
terga — noi, «pòpolo», crcpiamo di fame!... Cittadina
Beaumont! guarda col tuo parlare «anticìvico» di
non obbligarmi a ritornare da te.... guardati bene! —
E lì il birbone venne alla giovinetta:
— Isolina La Roche — disse — ti arresto! — e
allungò la mano su lei.
— Largo! voi puzzate di vino — disse arretrando
la tosa.
— Aristocràta! — vociò il canagliume.
— Così, ne fu condotta via un’amica: ed allorquando
suora Clotilde, uscita dietro Isolina, rincasò verso
l’Ave-Maria, a noi che chiedevamo: — c dùnque? —
venne solo risposto: — pregate. —
S’andava chiudendo la sera. Prima di coricarci, noi
usavamo entrare in una stanza dedicata al Signore.
Peraltro, non vi si vedea nessunìssimo segno della
nostra salute. A mezzo allora di gente, la quale
«imponeva» la libertà del pensiero, tai segni, o per
paura o pudore, si nascondèvano. Noi li portavamo nel cuore.
E l’oratorio dava sur una viuzza perduta. Quando
splendeva la luna, non vi si accendòvano lumi. Quella sera, splendeva la luna.
Le suore s’inginocchiàrono senza dire parola; intorno di esse, noi; e pregammo.
Gemea la calma notturna. Per chi pregavamo, tu sai.
Ma, a un tratto, suono di vetri spezzati; e, a terra,
il tonfo di cosa morta. E un grido: «vive la répu-
blique ! » —
Balzammo in pie’ sbigottite.... Dio! Sul pavimento
giaceva tagliata una mano, bianca, ornata ancora di
anella....
— Basta ! — (pii esclamava Albertino, serrandosi all ava. K rimaneva pensoso il resto della
giornata. A notte, sognava e mani e mani
spiccate, sotto il chiaro di luna, clic gocciola
vano sangue, fine, bianchissime, inanellate di
topazi e smeraldi.