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114 vita di alberto pisani

meno lo sguardo; si limitava a fregarsi con le duo palme, le guancie. — O dove il metteste? — domandò imperiosa mia madre. Il poveretto aguz/ò le labbra quasi a impetrare pietà: — l’ho in tasca — disse con un filo di voce. — Qua — ordinò la contessa; e, come don Carlomagno traeva timidamente fuori il codino, ella glielo strappò dalle mani e gliel misurò sulla faccia. — Ora — conchiuse — o creatura ingratissima, andate I e Pietro vi serri nel camerino. Vi resterete* ad àqua, pane e formaggio.... no, non meritate il formaggio.... a solo pane e àqua «quìndici giorni». Obbedite ! *— Quel pampalugo di un mio fratello, se non più rosso e confuso, ben altro gonfio che non all’entrare, uscì. Ch egli ubbidisse, e certo: era abituato. Quanto a mia madre, piangendo rabbia e dolore, serrò sotto chiave il codino. E lo tirava poi oltre prr castigar Carlomagno. — Ti piace ? — Alberto: sì.... ma narrane un'altra.... seria. — La nonna: incontentàbile ! — Oh ne sai tante, tu ! — Bene, alla seria ! ISOLINA. Ti ho detto che mi avèano messa in un collegio Oi Francia; aggiungo ch’ei si trovava in una mezzi città di provincia, Chatoau-Mauvcrt. Là, mentr’io tu - cava i nove anni, correvano i giorni i più vermipii della Rivoluzione. La ,<tol!e» faceva la testa sen i riposo. Giorni, ricorda bene, nei quali per ottener «l’eguaglianza» si calpestava «la fraternità», e, pi >- clamando i diritti dell'uomo, legàvasi il volume riformatore in pelle umana. Il nostro collegio s’era fatto deserto. Non vi r stàvano che quelle poche, le quali non avòan potuto