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vita di alberto pisani |
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meno lo sguardo; si limitava a fregarsi con le duo
palme, le guancie.
— O dove il metteste? — domandò imperiosa mia
madre.
Il poveretto aguz/ò le labbra quasi a impetrare
pietà: — l’ho in tasca — disse con un filo di voce.
— Qua — ordinò la contessa; e, come don Carlomagno traeva timidamente fuori il codino, ella glielo strappò dalle mani e gliel misurò sulla faccia.
— Ora — conchiuse — o creatura ingratissima,
andate I e Pietro vi serri nel camerino. Vi resterete*
ad àqua, pane e formaggio.... no, non meritate il formaggio.... a solo pane e àqua «quìndici giorni». Obbedite ! *—
Quel pampalugo di un mio fratello, se non più
rosso e confuso, ben altro gonfio che non all’entrare,
uscì. Ch egli ubbidisse, e certo: era abituato.
Quanto a mia madre, piangendo rabbia e dolore,
serrò sotto chiave il codino. E lo tirava poi oltre prr
castigar Carlomagno.
— Ti piace ? —
Alberto: sì.... ma narrane un'altra.... seria. —
La nonna: incontentàbile !
— Oh ne sai tante, tu !
— Bene, alla seria !
ISOLINA.
Ti ho detto che mi avèano messa in un collegio Oi
Francia; aggiungo ch’ei si trovava in una mezzi
città di provincia, Chatoau-Mauvcrt. Là, mentr’io tu -
cava i nove anni, correvano i giorni i più vermipii
della Rivoluzione. La ,<tol!e» faceva la testa sen i
riposo. Giorni, ricorda bene, nei quali per ottener
«l’eguaglianza» si calpestava «la fraternità», e, pi >-
clamando i diritti dell'uomo, legàvasi il volume riformatore in pelle umana.
Il nostro collegio s’era fatto deserto. Non vi r
stàvano che quelle poche, le quali non avòan potuto