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del chiabrera 75

Ma se a morte crudele,
     Per la salute altrui, nulla catena
     E che ritardi il passo,
     Almen lunghe querele,
     Almen degli occhi inessiccabil vena
     Riverserem sul sasso;
     Sul sasso, guardia di due spoglie ignude,
     Sacrando inni di gloria a tua virtude.

XI

PER LO MEDESIMO.

Lungi da’ lauri, ond’io tessea ghirlande,
     Lasso, lunge dall’onde,
     Che fra’ teneri fior Castalia spande,
     Tempro dolente, e con sembianti afflitti
     5Cetera di cipresso;
     Ed alto piango di ria pena oppresso
     La reggia ampia de’ Pitti.
Odiansi colme di letizia stanze;
     O fortunati alberghi,
     10Ove cadute son vostre speranze?
     Io nol vi chieggio, e non ragiono indarno:
     Fu il procurar gran vanti;
     Francesco è spento, e nube atra di pianti
     Copre Firenze ed Arno.
15Appena vide April diciotto volte,
     Che l’onorate membra
     Vinte da febbre ria stansi sepolte;
     Jeri fece ondeggiar sangue nemico,
     Ed oggi muor sua mano;
     20Ove mi volgo? E su destin sì strano
     Che dico? E che non dico?
Perdasi con viltate il fior degli anni,
     Ed ozïosa corte
     E di Bacco e d’Amor non si condanni;
     25A che di vero onor cura ci prende?
     A che valor ci chiama?
     Perchè palme bramar, se a chi le brama
     Atropo le contende?
O d’Italia splendor, che non tramonti,
     30Ma te ne vai per l’alto
     A fiammeggiare entro gli Eroi più conti;
     Fin qui corde di duol mia man percote
     Per tua mesta memoria;
     Ma quinci innanzi ad innalzar tua gloria
     35Troverò nove note.
Invano orrida morte arco discocca,
     Se tal che di virtute
     Fassi amico vivendo ella trabocca;
     Alcun per bell’oprar non sia ritroso
     40Dal mondo a far partita;
     Cangia vita volgare a nobil vita
     Uom che muor glorïoso.
Quinci a secol miglior ben persuasi
     I Cavalieri Argivi
     45Gîro da Lenno a guerreggiar sul Fasi,
     E prese Achille di real beltate
     Fulgidi guardi a noja,
     Vago di fulminar sul pian di Troja
     Aspre falangi armate.
50Fra sì fatti cursor sembrò non lento
     L’inclito giovinetto,
     Giustissima cagion del mio lamento:
     Ma de’ suoi pregi invidïosa Cloto
     Me l’atterrò per via:
     55Ah lei crudel! ma che più dir? Follia
     È lacrimare a vôto.

XII

A COSMO

GRAN DUCA DI TOSCANA

Quando morì Ferdinando suo padre.

Cosmo, qual disdegnando aure terrene,
     Aquila spiega al ciel piume possenti,
     E tolta al guardo dell’inferme genti,
     4Cerca del Sol le fiamme auree serene:
Tal sollevando il tuo gran Padre il volo
     Per eccelsa magion d’alti splendori,
     Quinci è sparito, e tra’ più folti orrori
     8Lascia all’Italia inconsolabil duolo;
A te non pur sul volto onda di pianto,
     Ma largo campo, ove affrettando il piede,
     Sul fior degli anni hai da mostrarti erede
     12Del sempre chiaro ed immortal suo vanto.
Dolce ad udir; che se ’l Cesareo petto
     Commosser d’Alessandro i pregi eterni,
     Esser ti dee per li trofei paterni
     16Ogni sferza d’onor sommo diletto.
Or sorgo franco: desïabil strada
     È gir colà dove la gloria splende;
     Se forza di virtù nol ci difende,
     20Scettro non è che alla perfin non cada.
Adunque fremi, e volgi irato il tergo,
     Se canta Circe insidïosa e rea;
     Ma fa che prezzi, e teco fermi Astrea,
     24Nume, che già sull’Arno ha sacro albergo.
Scotesi Libia, e rasserena il ciglio
     Spento l’Eroe, che calpestò suoi regni;
     Ne folle sa, che da’ tuoi nobil Legni
     28Aspettar dee via più mortal periglio.
Non fregino di gemme i bei sembianti,
     Succinte d’ôr le Paretonie spose1,
     Che fra’ tuoi Duci han di mirar dogliose
     32Stretti in catena i giovanetti amanti.
Vedransi l’onde, e d’Ellesponto i porti
     Tremare al grido de’ tuoi fier Campioni,
     E l’Asia udrà di Ferdinando i tuoni
     36Nella tua destra rimbombar più forti.
Nè meco oggi vaneggio; i furor suoi
     Fallace Apollo non mi volve in seno:
     Cosmo, tue glorie fian veraci appieno:
     40Chi non sa che da Eroi nascano Eroi?

  1. Paretonio, antico porto di mare nella Cirenaica. I poeti
    latini, e qui imitandoli il Chiabrera, Paretonj dicevano gli
    Egizj, ed in genere gli Africani.