Pagina:Opere (Chiabrera).djvu/85

72 poesie

40Or con la man guerriera
     Fea sotterra volar l’alme nemiche,
     Or le membra col piè sul suol premea:
     Or con la voce altera
     Svegliava ad incontrar l’aspre fatiche,
     45Ed i furor della battaglia rea:
     Ma Dio nell’alto altro destin volgea.
     Dunque dell’altrui duol mosso a mercede,
     Su tante squadre ancise,
     Sè ben fedel commise
     50AI vil mentir dell’Ottomana fede;
     E per gli aperti varchi inelito scese,
     Che al più forte Oriente ei sol contese.
Stavan mirando intorno
     Al gran Campione i faretrati Sciti,
     55Curvi le ciglia e le gran teste inchini:
     E chi lo sguardo adorno
     Seco lodava di splendori arditi,
     Chi lodava i sembianti almi e divini;
     Quand’ecco, al giuramenti Saracini!
     60Alzarsi al ciel della perfidia il segno,
     E tra mille alti gridi
     Cadere a’ piedi infidi
     La nobil testa sotto colpo indegno;
     E le membra magnanime infelici
     65Farsi ludibrio a’ barbari nemici.
Flebil vista a mirarsi
     Sulla terra stillar vile e negletto
     Il tronco, onde Ellesponto anco paventa:
     Atro il bel volto, e sparsi
     70I crin tra il sangue, e del feroce aspetto
     La Delta luce impallidita e spenta!
     E quando in armi, o neghittosa e lenta
     Italia, e quando tenterai vendetta?
     Quando l’orride teste
     75Appenderai funeste
     All’Anima fortissima diletta?
     Non vedrassi unqua in te sorger valore,
     Che svelta almen degli Ottomani un core?
Ma seguendo il tormento
     80Dello scempio acerbissimo sofferto
     L’afflitta lingua ora s’adira or lagna,
     Intanto al Sole, al vento
     Stassi tra polve il gran busto deserto,
     E sotto nembi freddo verno il. bagna.
     85Lasso! della deserta erma campagna
     Corronvi fere, e con artigli immondi
     Forse augelli frementi,
     Senti, Perugia, senti,
     E meco tu le lagrime diffondi;
     90Chè di tanto Guerrier non han pur l’ossa
     Angusto marmo che coprir le possa.

VI

Piange la città di Famagosta.

Già tu per certo, o Famagosta, loco
     Non averai tra le città felici,
     Sì con ira infernal d’aspri nemici
     T‘afflisse in dura guerra empio furore:
     5Ampio giro di foco
     Orribile t’involve
     Ed in fumo ed in polve
     Spandi per tutto al ciel barbaro ardore,
     Non più città, ma ruinoso orrore.
10Misera te! pur nella man possente
     Asta di sangue armò l’alta Reïna,
     E dell’avverso Egeo l’onda marina
     Fece a tuo scampo arar selve spalmate;
     Ed io credei repente
     15Quetarsi il tuo periglio,
     Allor che atro e vermiglio
     Nettun secondo a nostre genti armate
     Erse sì gran trofeo d’armi lunate,
Lasso! tra’ gorghi dell’Egeo spumanti.
     20Di lauro i tuoi campion cingean la chioma,
     E l’ira atroce, e la perfidia doma
     Vedean sepolti in mar; gaudii celesti!
     Tu sfortunata in pianti,
     Spettacolo di pena,
     25Stretta il piè di catena;
     Traevi a giogo di nemici infesti
     Tumulti lugubrissimi funesti.
Miseri padri in duro ceppo avvinti!
     Misere antiche genitrici ancelle!
     30Miserissimo stuol di verginelle!
     O quanti piangeranno i patrii liti?
     Quante i consorti estinti?
     Quanti l’antico vanto?
     Ma tu qual trarrai pianto;
     35O quali Italia gemiti infiniti,
     Misera madre degli Eroi traditi?

VII

AL SIGNOR

D. GIOVANNI MEDICI

Per la morte del Principe D. Francesco.

Già lieto a’ cenni tuoi venni sovente,
     Signor, pregio de’ versi ond’io mi pregio,
     E la cetera mia d’oro lucente
     4Fei risonar del tuo valor egregio;
Or non così; chè d’Aganippe il fonte
     Torbido bevo, e da mestizia oppresso
     Del domestico allôr spoglio la fronte,
     8E vi pongo in sua vece atro cipresso,
Lachesi acerba! ah che terribil’ira
     Oltra l’usato stil m°avvampa in core;
     E cou cordoglio a bestemmiar mi tira,
     12Ingiustissima Dea, vostro furore!
Sol venti volte il Sol per vie distorte
     Aprile addasse alla stagion fiorita,
     Che con orrido ghiaccio iniqua morte
     16Vinse il vigor di così nobil vita?
Su su, Vergine Clio, meco discendi
     A far sull’Arno lamentevol suoni:
     Ma tu quinci, Signor, forse riprendi,
     20Che sì forte alla pena io m’abbandoni.
Tu saldo in campo ogni mortal cordoglio,
     Ove ti sfidi in paragone, è vinto;
     Nè vien flutto di duol, che dallo scoglio
     24Del magnanimo cor non sia respinto.
Pensi, che Morte ne minaccia a tergo;
     Che come vento il nostro dì s’avanza,
     Che sulle stelle è sempiterno albergo,
     28E che la terra di poche ore è stanza.