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del chiabrera | 67 |
XCIII
AL PRINCIPE CARLO
DUCA DI GHISA1.
Per la presa della Roccella.
Come dall’Orïente aprendo al Sole
Il dorato sentiero
L’alba di luce incoronata il crine.
Con la man bianca più che nevi Alpine,
5Dallo stellato impero
Sparge nembi di rose e di vïole.
E con dolci rugiade,
Del Ciel liquide perle, il seno inonda
Della gran Madre antica, e la feconda
10Di fiorita beltate:
Antistrofe.
Così mia lingua di dolcezza Iblea
Soavemente aspersa
Piove rugiada su’ gran Gigli d’oro,
Gigli intrecciati al trïonfante alloro,
15E sovra lor riversa
Stile immortale di virtù Febea:
Ed ora a far corona
Di sì bei fiori alla real tua fronte
Al suon de’ versi miei saran ben pronte
20Le Dive d’Elicona.
Epodo.
Su dunque armi la mano
Bella Vergine Clio,
E con dardo Tebano
Il Tempo alato, e ’l neghittoso Obblío
25Fuimini ardente;
E qual torrente,
Che l’ampia terra allaga, i regj vanti
Sparga di Ghisa in ammirabil canti.
Strofe.
Altri su corde, armonïose lingue
30D’eburnea cetra altera,
Canti, che germe sei di Carlo il Grande,
E tessa agli avi tuoi auree ghirlande.
Io tua virtù guerriera
Con tromba eccelsa, e che non mai s’estingue
35Nel Tempio della Gloria
Oggi consacro, onde i sublimi onori
Nati e nudriti a’ tuoi guerrier sudori
Eterna abbian memoria,
Antistrofe.
Ma qual primiero a’ risonanti strali
40Di mia voce canora,
Fra cotanti trofei, segno diviene?
Tra le Stelle del Ciel pure e serene
Espero pria s’indora:
Così l’alto valore,
45Che rosseggiar di sangue orribilmente
Fe’ l’onda Roccellese, or la mia mente
Ingombro di stupore.
Epodo.
Ama di folle speme
Le lusinghe soavi
50Chi giunger tenta insieme
Con mano augusta l’animate travi
Di selva immensa;
E s’altri pensa
Tutto delle tue glorie il Ciel varcare,
55Darà precipitando il nome al mare.
Strofe.
Io sol t’ammiro entro a’ funerei lampi,
Qual procelloso Arturo,
D’Anfitrite turbar gli ondosi campi.
È men di te possente
60Sull’Oceán, se a dissipar l’antenne
Move armato di gel Borea le penne
Orgoglioso fremente.
Antistrofe.
Tu sembri in mare, il correttor de’ mari,
I genitor de’ venti,
65Lo Scotitor della terrena mole,
Di cui son fiera orrisonante prole
Vasti fiumi correnti:
Ma non dell’Oceán gli orgogli amari
Col gran tridente frangi;
70Vibri la spada, e da’ rostrati legni
Mandi svenati a’ tenebrosi regni
L’eretiche falangi.
Epodo.
Poi se de’ bronzi ascolto
L’alto rimbombo orrendo,
75Tu mi rimembri in volto
Su Flegra tonator Giove tremendo;
Allor che vinte
Caddero estinte,
Al saettar de’ folgori tonanti,
80L’orride teste degli Etnei giganti.
Strofe.
E mentre ardendo di disdegno interno
Hai la morte nel brando,
E sol col guardo fulmini terrore,
Erra per l’aria un minaccioso orrore,
85Tonando e fulgorando,
E sembra incendio il mare, il cielo inferno,
Altri more, altri langue,
Altri vivendo han per sepolcro l’onde;
Ogni petto, ogni cor largo diffonde
90Alti fiumi di sangue.
Antistrofe.
A tanto ardire, a così gran fortezza,
Qual sul mattin d’aprile
Si dilegua dal Sol la nebbia oscura,
Caddero a terra l’esecrate mura,
95Dell’empietà covile.
Ivi non più con barbara fierezza
Al Monarca del Cielo
Negansi incensi, sacrificj e voti:
Or porgon prieghi i popoli devoti
100Con puro ardente zelo.
Epodo.
Canti la fama eterna,
Che ’l bellicoso Alcide
Al portento di Lerna
Le sette teste rinascenti uccide;
- ↑ Figlio del famoso Enrico che fu acciso a Blois nel 1688 per ordine del re Enrico III. Combattè con valore all’assedio della Roccella, dove comandó le navi che vinsero la flottiglia Rocellese. Fuggi ai sospetti e alle segrele persecuzioni del ministro Richelieu, ritirandosi a Firenze nel 2631, e morì nel Sanese nel 1610.