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vii


giusta una sentenza antica, soli ponno gli animi rafforzare e gli ingegni. Ed infatti, che di poetico mai rimaneva ne’ costumi e ne’ pensieri dell’Italia in quel fatale, e inglorioso secolo XVII, che avrebbe cancellata negli Italiani ogni impronta d’indole nazionale, se l’opera del tempo e della natura, non fosse più forte dei congiurati sforzi degli uomini? Solo rimaneva qualche avanzo di spirito cavalleresco, il quale mandava ancora un po’ di luce nelle guerre marittime del Levante, che da petti italiani, ma le più volte sotto non italiana bandiera si combattevano, per preservare la civiltà europea dalla ottomana barbarie. E di esso ben seppe fare suo profitto il Chiabrera, e più volte lo esaltò ne’ suoi versi, per tentare di riaccendere qualche favilla di coraggio marziale nella nazione; ma l’effetto non corrispose all’onorato suo desiderio. Ei colse pare premurosamente ogni altra occasione di celebrar co’ suoi canti l’italico valore, e fu largo di encomj a molti de’ Principi del suo tempo, non per vano studio di adulazione, ma per brama d’accenderli di generoso entusiasmo e di eccitarli ad opere forti e gloriose. Nessuno dei fatti che potevano tornare in qualche onore e vantaggio dell’Italia, passava per lui inosservato; onde egli celebrò ne’ suoi versi il giuoco del pallone, ordinatosi in Firenze dal Granduca Cosimo II, perchè gli parve che da codesta instituzione potesse venirne qualche eccitamento a’ suoi contemporanei di cercar lode di prodezza e di rintegrare l’omai scaduta fama dell’italica milizia. Ma sciaguratamente egli non venne a capo dell’alto suo proposito, e appena trovò chi ne lo rimeritasse con quella sterile ammirazione, la quale riesce amara pur essa al genio, che sente la propria forza, e vedesi impedito di correre la sua via. Il perchè accortosi che un popolo da ascoltarlo non c’era, egli che avrebbe anelato d’essere il Pindaro dell’Italia sua; egli che avrebbe voluto animarla ed esserne animato, riconcentrossi tristamente in sè medesimo, e smarrita quella vena che spontanea soccorre a un poeta inspirato dallo spettacolo di tutta una gente, che accoglie festosa i suoi canti, fu costretto di ricorrere all’arte per ritrovarne un’altra. Quindi tratto dalle reminescenze della sua più verde età, si diede a cercar l’inspirazione nelle opere di quei grandi poeti greci, di cui un tempo avea vagheggiata la gloria, e che avea promesso a sè medesimo di emulare; onde, se così possiam dire, parlò le più volte greco invece di parlar italiano. E di vero i suoi canti sono un’eco armoniosa e chiara de’ canti mitologici della antichità;