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dobbiamo vantarci, che a' giorni nostri vadasi più altieri in Parnaso, elio non si andò nei tempi antichi, e per più ampie vie, e maggiormente gioconde. Nè paja strano che l'arte del poetare migliorisi, quando similmente vedesi migliorare l'arte del parlamentare, per modo che Atene e Roma scemano l'orgoglio, e se ne vanno meno superbe. Dunque poiché oggidì volgono stelle sì sommamente benigne sopra la nostra Italia, e sorgono ingegni fuor di modo ammirabili, e prendesi a vile ogni autorità, può essere in forse il mio insegnamento, ma siasi, e sia Aristotile, o buono, o reo maestro di rettorica, io non pertanto con la presente opportunità voglio affermare, che se non dagli antichi, almeno da questi moderni per maraviglia puliti si apprende arte sì bella, sì giovevole, ed acconcia in ogni luogo e tempo, ed appresso ciascuna persona a provvedere di difesa per noi medesimi, e por altrui abbattere similmente, e però puossi egli non sommamente apprezzare magisterio di svegliare Ira, di destare mansuetudine, di commovere spavento, di sollevare franchezza? Bagnare gli altrui visi di lagrime, e bagnati asciugare, dar bando alle querele, frondare i danni, e consolare i guai in mezzo delle infelicità? Che poi, se a forza vincendo le altrui opinioni, pare in vista, che noi persuadiamo? Ed inviolando le altrui volontà, sembra che ci si dia per gentilezza? e spogliando altrui di arbitrio, lo spogliato il soffrirà di buon grado? Questa non è ella amabile ed onorata Tirannide? Giungiamo ciò che adoperano i forti ragionamenti in campo fra lo armi e fra le toghe in senato? Essi a loro talento sbandiscono le guerre, e raccolgono le paci, ed a rovescio discacciano le paci, e care ci fanno essere le guerre, e per tal modo le venture de' popoli hanno in balia. Nè dee negarsi che le opportune parole de' capitani non accendino l'anima de' soldati, e loro non rinforzino i polsi, sicché meglio vibrino lo aste, e meglio impugnino l'else, ed a prezzo di sangue coraggiosamente non comprino le vittorie. Demostene con parole possenti mise in contesa gli Ateniesi contra Filippo di Macedonia, e valsero le parole a risospingere gli assalti di un re, il quale per altro non aveva contrasto alla sua ferocia. E Cicerone fece dichiarare rubello di Roma Antonio, sostenuto per sè medesimo, e per amici e per eserciti. Soavi incanti per verità, e malie dolcissime. Ma consideriamo che la virtù non averebbe suo premio interamente se l'altrui saggio parlare non lo desse ornamento, non la schernisse dall'obblio, non la difendesse dall'Invidia. Gli operatori di nobili imprese tanto quanto sarobbono chiari, e contra la forza del tempo forse contrasterebbono, ma pure finalmente si avvolgerebbono di oscurità di loro ogni contezza disparirebbe, ma la eloquenza rabbellisce i loro pregi, che fa che fioriscono, e per qualunque lunghezza di anni mautenghi, in riverenza, e quasi vuol che si adorino. Così Achille, così Enea, così Alessandro, così Cesare oggidì se ne vanno alterissimi. Nè Sparta, nè Atene disperse, e messe a ruba sfavillerebbono gloriose nei fogli de' Dicitori. Roma reina dell'Universo spogliata degli ornamenti giacerebbe vii cosa, se nelle carte non si registrassero i trionfi di quei guerrieri, onde ella dee gloriarsi. E chi prenderebbe oggidì maraviglia che Venezia dentro di quelle lagune piantata avesse disteso verso l'Oriente l'imperio per virtù de' suoi cittadini, se il valore di quegli uomini non fosse rischiarato dagli scrittori? Nè noi siamo fuori di sì falli confini, ma dobbiamo tributo di lode alle penne amiche dell'immortalità, perciocché le insegne di Genova si spiegarono in Palestina, trascorsero per le isolo dell'Egeo: fecero vedersi lungo le riviere dell’Asia, e si piantarono dentro a Caffa. Le armi vostre, signori, vinsero corsari, vinsero principi, vinsero re, ed oggi quelle opere splendono alla nostra memoria care, perchè furono eloquentemente scritte, nè quelle che viddero gli avoli vostri, nè quello che per noi si veggono di presente chieggono ingegni meno sottili, o lingue meno leggiadre. La fortuna secondo il suo costume non sempre seconda; volendo farne dolenti, hanno fatti giojosi, onde non esempio di disventure come ella propose, ma siamo specchio di non oscura virtù. Gli assalti dei nemici eccitarono la fortezza de' nostri signori, e le insidie azziniarono la loro prudenza. Abbiamo da' travagli imperata quiete, e da' spaventi franchezza, e da' rischi felicità. Avvenimenti, i quali nel cuore de' Genovesi, che di mano in mano ci nasceranno, metteranno diletto e desiderio di calcare orme per lo sentiero della virtù. Queste poche parole ho voluto dire in commendazione di quegli studj, ne' quali essendomi dilettato, alcuna volta mi hanno dato conforto, ma non mai tanto, quanto in questa giornata, ove SS. VV. con alti di gentilezza e di sofferenza si sono degnate di volentieri ascoltarmi, inezia la quale sempre salda, e sempre verde starassi in fondo dell'anima, e nel mezzo della memoria.
DISCORSO
Della Tribolazione.
Rare volte, o forse emmi intervenuto non mai, che volgendomi a considerare le miserie onde gli uomini su la terra vivendo son travagliati, io non ingombri l'anima sommamente di maraviglia, ed insieme di estrema compassione; e son sicuro che ogni persona fornita di senno se ne verrà prontamente con esso me.
Cerchiamo con gli occhi e con la mente, esaminiamo l'umana generazione quanto ella è grande, nè però troveremo o maschio o femmina, o vecchio o giovine, o soggetto o principe, o ricco o povero, il quale non sostegna procella di guai, e non dolgasi per mille maniere han tributato. Puossi egli venire incontra a si manifesta verità? non certamente. E come? se tabulazione è passione per bene che ci abbandona, o per male che ci sorprende, chi di noi dall'una di queste disavventure percosso non