Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
378 | prose |
quasi viltà. E solamente consola gii umani sudori per entro le immense fatiche, la speranza di non caduche memorie. Ciascuno averebbe cari i riposi, ed i trastulli, se con la vita si terminasse la fama. Ma la gloria, ove gli eroi si specchiano, fa loro perdere il sonno, e cangiare di buon grado i sollazzi agli affanni, e la quiete alle fatiche ed i diletti alle noje. Non facciamo dunque torto al merito degli uomini grandi, e non lasciamo esser vani i loro desiderj; ma svegliamo i cuori e suscitiamo i spiriti per opera, la quale sia non meno per noi gloriosa, che per gli eroi cantati; e che serberà sempiterno il nostro nome non meno che la loro virtù.
DISCORSO III
Intorno alla Intemperanza.
Quando ultimamente ragionai in questa nobile raunanza, io consigliato dalla stagione e dalla guerra in che viviamo trattai alcune cose, della virtù della fortezza, e parve il ragionamento essere opportuno. Da questo esempio io sono qui tratto a favellare intorno alla virtù della temperanza; perciocché ella é virtù da trattarsene in ogni tempo e che appartiene ad ogni persona, riguardando essa per una parte alla giovinezza, e per un'altra alla vecchiezza specialmente, perciocché la vecchiezza poco esposta a' diletti di Venere, suole agevolmente traboccare in quelli di Bacco, e la gioventù malamente difendersi da Venere, alla quale volentieri Bacco accompagnasi. Nè io favello di questa virtù, e delli estremi che la guastano per sospingere e ritrovare le SS. VV., perciocché elle non ne hanno per la dio mercé, punto di bisogno; anzi ho preso a trattarne, acciò voi, miei Signori, godiate delle vostre lodi, essendone fatti bei possessori. Ed in ciò non hanno le SS. VV. maestri di bassa qualità; anzi veggiamo il singoiar senno di Omero aver messo le tavole a' re greci cariche non di altra vivanda, che di carne di bue, allora che Agamennone diede loro convito, e quando Achille nipote di Etnico e di Giove raccolse Ajace, Ulisse e Fenice a cena, egli già non trapassò i confini della temperanza; anzi nutrivi con tergo grasso di capra, e con lombo di porcello, onorandosi solamente col mescere alquanto puretto. Bene all'incontro veggiamo, che Achille fatto per Omero adirare contro Agamennone, dopo avere con ingiurie gravi disacerbato lo sdegno, finalmente lo appella per somma villania ubbriaco, e che lasciasse cavalcarsi dal vino. E mi rammento che Eschine ritornando ambasciatore da Filippo di Macedonia, e lodando appo gli Ateniesi la qualità di quel principe, fra l'altre numerò, che egli bevea largamente, e che poteva farlo: ed allora Demostene il quale lo disamava, soggiunse: si fatta loda convenirsi a spugne, e non a re. Dico ancora, che Cicerone nemicissimo di Marc'Antonio, e però raccontatore delle vergogne e vizj di lui, una volta acerbamente rimproverandolo, affermò, che egli alle nozze d'Ippia aveva tanto di vino tracannatosi, che in mezzo al popolo Romano fu costretto recere l'altro dì. E veramente nell'istoria leggiamo, che Cesare crebbe suoi pregi con la sobrietà, ed il Grande Alessandro oscurò sua chiarezza col soverchio della bevanda. Nè voglio tacere, che alla bestialità di Rodomonte, ed al mostro di Polifemo, non giovò punto l'innondarsi di vino. E ciò basii, avendo riguardo alla sobrietà, cd all'astinenza. Ma avendo rispetto alla lussuria, dee l'uomo ben nato difendersene, e ci si propone Ippolito, il quale indegnamente morto per serbarsi puro dalle lascivie della matrigna, ebbe grazia di essere ravvivato, e di tornare a' chiari raggi del Sole. E dicono i poeti con favole, dottrinandoci, che Isione tentando di guastare l'onor di Giunone precipitassi nel baratro dell'inferno, colaggiù confitto ad una rota volubile, non trova riposo giammai. E veramente sappiamo che la castità di Scipione gli pose quasi il freno delle Spagne in mano; ma il troppo dilettarsi negli amori femminili, trasse Troja per colpa di Paride a terra. Essendo dunque la virtù della temperanza di tanta lode, e di tanto giovamento agli amici suoi; ed all'incontro tanto danneggiando, e disonorando, chi l'abbandona, è buon consiglio farsi chiaro delle sue condizioni, ed apprendere ciò, che ella sia. Dico pertanto che ella si volge intorno a' maggiori diletti della nostra umanità, li quali appartengono ai toccamento, e ciò sono Lussuria, e Golosità. Per colpa di gola può l'uomo divenir volentieri ebbro, ed anco può divenir ghiotto; e per lussuria può cadere in diverbi errori. Ghiotto appellasi l'uomo in varj modi; cioè quando per vaghezza della vivanda, non aspetta che lo stomaco chieda il nutrimento, ma egli vi corre incontro, ed ancora quando per adescare l'appetito, procaccia condimenti non usati, ed ancora quando carica il ventre fuor di misura; e quando con dispendio cerea esche di pregio; e quando finalmente per brama di buon sapore, scagliasi adosso al cibo rapidamente ed ingojalo. Si fatti vizj mal convenevoli ad uomo ben nato, emenda la Temperanza, ordinando la maniera di nutricarsi con la norma della ragione, e sì fatta norma chiamasi nelle scuole Astinenza, ed ella é da procacciarsi con studio, e da tenersi molto ben cara. E questo basti intorno al nutricarsi con vivande più, o meno; ma del bere, bassi a fare alcuna parola, perciocché intorno al vino sori misure, e dismisure, e da lui dannosi delle lodi, ed anco de' biasimi. Ci si dice da una parte che il vino rende i cuori lieti, e che al dolente egli dee presentarsi, ed a coloro i quali hanno t'animo in amaritudine. Dall'altro lato noi sentiamo, che egli, bevuto largamente suscita ire e ci fa riottosi, e adduce disavventure. Dicesi che aguzza l'ingegno e rinfranca gli spiriti, e che però Omero ne fosse vago; e che Ennio si domesticasse con lui. E perché io non favello ad uditori severi, ed in luoghi sacrali, ma in Accademia e all'orecchie leggiadre ed usate a cose gentili, io non voglio lacere alcuni detti. Anacreonte con-