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26 poesie

     Qual non ti sacreran musica cetra
     45Le bellissime Ninfe di Permesso,
     Oltra gli umani esempi?
     E trionfando oltra il mortal costume,
     Qual non ti si darà palma d’Idume?
Ammorza dunque infra i Cristian gli sdegni,
     50E lor sia scorta tua gentil possanza
     A sì giusto desiro,
     Per Dio racquista d’Israele i Regni,
     La bell’opra non è senza speranza;
     Altri già la forniro;
     55Non sia cor pigro a seguitar tua destra,
     Nelle Scole di Marte alta maestra.
Mille argomenti al tuo gentil pensiero
     Dir si potrian, ma sia bastante il detto:
     Gli altri fian vilipesi;
     60In tua Corte Real non son straniero;
     Ho fermati miei passi al tuo cospetto,
     E tue parole intesi;
     Le brame del tuo cor non son secrete;
     Tu non dell’or, ma della fama hai sete.

XXXIV

PER CARLO DI SAVOIA

DUCA DI NEMORSO.

Guerreggiò con somma lode.

Qual se per vie selvagge
     Scende mai sull’April nuovo torrente,
     Col primo assalto depredar possente
     Le seminate piagge,
     5Mentre da lunge rimbombando ei freme,
     Al Ciel rivolto l’arator ne geme;
Indi in valle profonda
     Chiama con ferro eserciti campestri,
     E seco tragge macchine silvestri
     10Contra l’orribil onda,
     E d’immenso terren compone un morso,
     Che all’inimico fier travolga il corso.
Ma come a sè d’avante
     Argini sente l’implacabil fiume,
     15Cosi doppia il furor, doppia le spume
     Indomito sonante;
     E degli scherni altrui preso disdegno,
     Abbatte impetuoso ogni ritegno.
Allor qual va d’intorno
     20Trionfator delle campagne oppresse,
     Qual porta i solchi, e la bramata messe
     In sull’orribil corno!
     Qual fa tremar per le remote selve
     Pastori, e greggi, e cacciatori, e belve!
25Tal poco dianzi scorse
     Francia nell’ire un Giovinetto invitto,
     Quando fra l’armi del gran sangue afflitto
     Vendicator sen corse,
     E fèssi Duce alla sacrata guerra,
     30Sparsi i lacci tirannici per terra.
Dunque mie nuove rime
     Al bel nome di lui si faran ale;
     Talche dove a gran pena Aquila sale,
     Ei poggerà sublime;
     35Or s’anima d’onor prende diletto,
     Mio canto ascolti, e lo si chiuda in petto.
Vassene augel veloce
     Sol che gli tocchi arcier l’estreme penne;
     Ma se dal predator piaga sostenne
     40Leon, pugna feroce,
     E vibra l’unghie a vendicar suo scempio;
     Quinci trasse il buon Carlo inclito esempio.
Così già fulminando
     In su l’Alpe atterrò plebe guerriera;
     45Così spense real milizia altiera
     Sull’oceán Normando,
     Quando tonò tutto di sangue asperso
     Contra i tuoni metallici converso.
Oh giù dal Ciel discenda
     50Angel di Dio, che al suo cammin sia duce
     E dal coro Febeo fulgida luce
     Tra le mie man s’accenda,
     Ond’io vaglia a sgombrar la nebbia impura,
     Che sì nel mondo i chiari nomi oscura.

XXXV

PER FERDINANDO I

GRAN DUCA DI TOSCANA.

Su Pindo eccelso delle Muse albergo,
     Non già di gemme e d’oro,
     Ma di lodi ha raccolto ampio tesoro
     Febo, che immortal arco appende al tergo;
     5E quando io posi su quei gioghi il piede,
     Dell’alte Chiavi egli onorò mia fede.
Dunque oggi lieto, e più che mai giojoso,
     Con larga man ne spando
     A forte celebrar, gran Ferdinando,
     10Tuo nome, grande in adoprar pietoso,
     E grande in sostener d’Astrea beata
     L’alme bilancie con la man scettrata.
Lume, a cui molti non drizzaro il viso,
     E fur famosi in terra;
     15Bene i gorghi di Senna, orribil guerra,
     Fe’ torbidi gonfiar di sangue anciso.
     E tonar seppe in più crudel battaglia
     Cesare armato, e funestar Tessaglia.
Ma che Roma affliggesse un duolo indegno,
     20Empio occupollo oblío;
     L’altro, che di più mondi ebbe desío,
     Fe’ servo all’altrui voglie il patrio regno,
     Cupido di mirar fiaccate e basse
     L’altere corna al soggiogato Arasse.
25Sì folta usa addensarsi, ed orrid’ombra
     Intorno al guardo umano,
     Che nostro studio in contrastarla è vano,
     Se celeste favor non la disgombra;
     Ed egli empie di luce il real ciglio,
     30E fa nuov’Argo del gran Cosmo il figlio.
Quinci pace immortal cinta d’oliva,
     E Cerere granosa,
     E Bacco, e di Vertunno aurea la Sposa
     Ei ferma d’Arno in sulla nobil riva,
     35Onde i crin di bei fior le grazie sparte,
     E la bella Acidalia unqua non parte.
Poscia nel grembo all’oceáno atroce
     Vara boschi spalmati,
     Carchi di duci, che su’ petti armati
     40Fanno in oro vibrar purpurea Croce,