lui la metà delle spoglie, e così pareggierassi meco di gloria. Qui noi veggiamo, che confortansi i soldati a combattere con la paura dell'infamia, e con la speranza dell'onore. Altre volte si mostrano gli uomini valorosi, perciocché essendosi essi trovati in altri pericoli, ne sono campali. E però Virgilio nel primo dell'Eneide volendo fare sicuro l'animo de' suoi Trojani, dice loro: Non vi smarrite o compagni, cose più strane avete sofferto con esso me; la rabbia di Scilla, gli scogli di Aceste, e gli antri del Ciclopo: Coraggio, o compagni; ancora gli uomini nei rischi appajono valorosi per ira, la quale eccita gli spiriti: Di ciò danne esempio Virgilio nel secondo dell'Eneide, laddove Polite percosso ed incalzato da Pirro, venne a morire a piedi di Priamo suo Padre, e a così dolente vista Priamo benché vecchissimo, disse parole ingiuriose a Pirro, ed assaltollo con armi cosi spossato come egli era per lo numero degli anni; ma espone Virgilio, che Priamo non se ne ritenne, perocché ira era in lui. Similmente gli uomini non paventano nei pericoli, quando son falli certi che essi pericoli non sono sì gravi come appajono; ed Omero accennò questa dottrina nel libro quarto dell'Iliade. Quivi Apollo facendo arditi i Trojani, i quali temevano di entrare in battaglia, egli dice loro: O Cavalieri Trojani non temete, perché Achille della bene chiomata Tetide non veste armi, ma dimorasi sdegnato dentro delle navi. Mostrasi qui come il pericolo di che paventavano, era minore che essi non lo immaginavano; perocché Achille non era in campo. Torneano, mentre stimavano, che Achille combattesse, ed era da loro stimato pericolo grandissimo; e fatto loro manifesto che egli per disdegno rimase alle sue tende; e di più cresce loro il coraggio. Tutte queste maniere di fortezze sono false, e vedesi chiaramente, purché si dichiari la natura della vera Fortezza. Che cosa dunque diremo essere la virtù chiamata Fortezza? ella è un abito per lo quale volentieri cheggesi di sofferire le cose orribili per amore della virtù. E qui cose orribili diconsi i pericoli della morte nelle battaglie. Dunque chi muore per fuggire infamia, e castigo non è veramente forte, perchè se non forse il vituperio, e la pena, egli di buon grado si salverebbe. E tanto dicesi di chi confida nei pericoli, perchè altre volte se ne é salvato; perciocché venendo meno la confidenza, egli volgerebbe le spalle. Ne più nè meno avviene nell'uomo adirato; perciocché cessando l'ira, e rimase nel suo slato naturale, perderebbe la franchezza; all'incontro l'uomo veramente forte, senza ninna delle raccontate condizioni, vedendosi in rischio mortale, elegge di morire, e non fuggirà la morte, ma muoverassi volentieri contro i pericoli estremi, purché la cagione di muoversi sia virtuosa. Ora le cagioni degne di incontrare la morte possono essere più di una. Achille fu mosso per la vendetta dell'amico, ed essendogli affermato da Tetide, che egli vendicare Patroclo, e morirsi. È ancora degna cagione difendere la moglie, i figliuoli, e la famiglia; e però Ulisse trovando la casa ripiena di duecento stranieri, da' quali ella si metteva ogn'ora a ruba, fermossi di difenderla, e di sgomberarla, e missosi a pericolo, e fu vincitore. Più avanti, lo scampo, e la felicità de' popoli suoi seguaci spingerà degnamente a perder la vita, l'omo che sia forte. li di più Enea si mosse a peregrinare. Mollo degna cagione che ci si fa di morire, quando si salva la patria. Ecco Decio padre, e figliuolo darsi in voto alla morte per trarre Roma di pericolo. Degnissima cagione si è illustrare la gloria di Dio, e cessare gli oltraggi, che gli si fanno; e però si raunarono tanti principi, e tanti guerrieri in Chiaramonte, e fermatasi la eroe sul Apollo, andarono in Soria, e colà sposero la vita, ed apersero il varco, onde potessero i fedeli adorare la tomba sacratissima. Qui io dico, che questi uomini, e di sì fatte qualità adornali nelle scole, da' filosofi si chiamino Forti, ma nelle accademie, e da' poeti, si appellano Eroi, ed essi sono nelle prose, e nei versi eccelsamente celebrati. Leggasi l'Epitaffio di Lisia, il Menesaeno di Platone, il Panegirico d'Isocrate, e di Senofonte, e tutti hanno adoperato, in maniera, che ogni orecchia è ripiena di nobilissimi nomi. Ma con maggiore rimbombo fanno i poeti volare intorno la memoria degli eroi, e loro tolgono da Lete; e però l'Eternità con sommo studio piglia cura di rischiararli. Qual cuore gentil non arde leggendo i versi di Omero? ed a' canti di Virgilio chi non rimane soavemente incantalo? nè ci lasciano senza dilettosa maraviglia i versi temprati al mormorio non d'Ippocrene, ma del torrente Cedrone, i quali riscaldano i nostri cuori agghiacciati coll'esempio di quelli immortali, che ruppero il giogo alla calpestata Gerusalemme. E per vero dire hanno (secondo la ragione) i possenti di lingua, e d'ingegno, dato tributo di lode a quegli antichi guerrieri, e sarebbe diritto che a' più novelli campioni non si venisse meno delle dovute corone. Non è egli, Signori, se non vogliamo fare oltraggio alla verità, non è Alessandro Farnese da celebrare con sommi titoli? e da porsi a lato ai Latini, ed agli Argivi guerrieri? Quando non si vide egli coperto di piastra? E quando mirossi, discinto di spada? E per quali cagioni poleva insauguinarla più nobilmente? Sue prime imprese furono contro le forze Ottomano, allora che videsi in forsi tutto Occidente. Puossi egli l'asta abbassare più degnamente che contra l'orgoglio degl'infedeli. Poscia diede la vita ai pericoli, e consumolla contra la malvagità degli eretici, onde le Fiandre divampavano. Queste fatiche di guerra presero lo spazio di quattordici anni, e maggiore spazio di tempo vorrebbesi per celebrarle. Ma non facendo io uffizio di poeta, nè di oratore; qui mi basta trascorrendo tornarle a memoria. Dunque ad onta de' nemici, sparse a terra le mura della perderebbe la vita sul piano di Troja, solo che egli amazzasse Ettore; egli di buon grado volle città di Mastrich, ed entratovi per forza d'armi, accatastò le membra degli uccisi nemici