sero novelle alcune, che giungendo non si sarebbe posto al pericolo della battaglia. Dunque contra ragione fu superato. Non ci partiamo dall'Imperio medesimo, e veggiamo come passò la guerra fra Antonio, e fra Augusto. Vero è che Antonio viensene dall'Oriente armatissimo; veleggia con ottocento vascelli verso la Grecia; seco erano i re di Libia, di Cilicia, di Cappadocia, di Patagonia, di Comagene, di Tracia? Quei di Ponto, di Arabia, di Giudea, di Galazia gli mandarono dell'ajuto. Così sforzato nel mare Jonio si affronta col suo nemico. Erano le speranze di tutti in piede; ciascuno procurava di far sua la vittoria con la gagliardezza della destra e dell'animo; ed Antonio volge le spalle, ed abbandona i suoi fedeli, e vien meno alle sue venture. Essendo più allo a guerreggiare in terraferma, guerreggia sul mare. Sul mare può vincere, e mettesi in fuga. Nè gli bastarono sì fatti errori; ma non si ricorda di centomila pedoni, e di venti mila cavalli, i quali saldi, e franchi sotto il governo di Canidio aspettavano suoi comandamenti. Molte in obblivione tante vittorie da lui guadagnate col consiglio, e col coraggio. Per tal moda perdesi l'imperio dell’Universo; e chi lo perde, perdelo per viltà, e chi lo vince, se lo porta senza prova di prodezza. Ove è Antonio? Ove è la scuola di Cesare? Dona di suo buon grado lo iscettro del mondo a chi non aveva possanza di toglierlo di mano per forza. Non sono eglino casi stranissimi? L'istorico gli narra, ma della ragione por quale avvenissero, non fa parola. Forse non la seppe, forse l'arte sua non gli permise manifestarla, io vago l'intenderla, ne cerco appresso scrittore, il qiale, sa, dee narrarla, o questi sarà Omero. Quando dunque fu la bellezza in pregio cotanto, che l'Europa, e l'Asia stimarono se non esser felice senza il volto di una femmina, si videro a fronte nella campagna di Troja i seguaci di Agamennone, ed i seguaci di Priamo. I Greci erano a numero dieci per uno, e nella guerra ammaestrati più fortemente, anzi venendo alla pugna, venivano cheti, ed attenti al fallo loro; ma i Trojani strepitavano come Gru allora che si affrontano co' Pigmei, tali erano i soldati. Capitano dei Trojani, era Ettore. Questi nella tenzone, dice Omero, era somigliante a Leone, il quale scagliasi male animato contro l'armonio, che nella freschezza di alcuna valle pasturasi, ed egli sbrana una vaccarella, e tutto il rimanente mettesi in fuga. Fra i Greci erano molti, e molto pieni di valore; Ajace, il quale azzuffossi con Ettore, e non fu vinto; Diomede il cui scudo, ed elmo spandeva come lume stella di autunno bene lavata nelle onde dell'Oceano, ed egli non solamente domava gli uomini, ma si mosse una volta contra Marte, ed impiagollo. Taccio di Agamennone, di Ulisse, d'Idomeneo. Tutti fortissimi, ed in tal modo i Greci si contavano più a numero, e più prodi; e non pertanto furono finalmente scacciati dal campo, risospinti nello steccato, e quivi non furono bastanti a cessare le fiamme, onde Ettore ardeva le loro navi. Qui dico io; o Omero che tu fossi infermo degli occhi della fronte, hassi per costante, ma bassi per costante non mono che la vista della tua mente era acutissima. Ora come è ciò? È questa cosa verisimile? Molti sono vinti da pochi? Ha meno, feroci i ferocissimi? Qual ragione dai tu? Dàlia, Signori, ed è questa: Tetide Dea marina supplicò Giove, acciò egli onorasse Achille disprezzalo da Agamennone. Giove consentì a quei preghi, ed abbassando le negre ciglia cosparse sopra la testa immortale, chiome molli di ambrosia, e lutto scosse quante elle erano le regioni dell'Olimpo; e per tal modo fece il segno, il quale, nè per froda, nè per impotenza rimane mai salvo adempiuto. Ecco la cagiono, sento che alcuno mi dice: Tu cianci; queste parole sono novelle da veglia. Ove ti dai ad infondere di esser tu? Signori, io non sono tanto sciocco, che non conosca, ove mi sono, ed a chi parlo. Emmi noto ottimamente il vostro sapere, e l'altezza del vostro intelletto; ma se le favole del Poeta vi rassembrano cosa vile, io volgerommi ad immortale scrittura, e d'incomparabile valore, e proverovvi pur ciò. Leggesi nel quarto libro dell'Istoria de' Re, che il Re di Israele, che il Re di Giudea, ed il Re di Edom allegati marciavano contra' Moabiti per lo deserto d'Idumea, e quivi venne loro meno ogni generazione di acqua, e però si stimavano come perduti. Eliseo Profeta promise loro salute, e la dimane la trovarono. Caddero la notte pioggie abbondantemente, e corsero i fiumi rossi come di sangue. I Moabiti, li quali erano in arme, argomentarono, e dissero: Ecco i fiumi corrono sanguinosi, certamente i nimici nostri si sono azzuffati insieme, e tagliali a pezzi; corriamo, ed uccidiamo l'avanzo. Corsero, diedero nei Giudei bene ordinati, e furori spenti. In altro luogo leggiamo che Benaddà Re della Soria assediava, e disertava Samaria, onde regnava fame atrocissima: dice Eliseo: domane sia il grano a prezzo vilissimo. Niuno prestava fede, ma Dio fece sopra il campo de' Soriani immenso rimbombo di cavalli, e di carri, e strepiti infiniti di schiere armate. Dissero i Soriani: gl'Israeliti hanno assoldato Etei, Egizj, e ci vengono addosso; fuggiamo. Preser la fuga, e di qui rimase abbondanza grandissima. Eccovi avverato il detto di Pindaro: Che niuno ha trovato sulla terra certo segnale intorno alle cose future; ma altri fuor di opinione incontra miseria, ed altri in mezzo alle pricelle in un punto è tratto a serenità. E per vero dire, Signori, in ogni luogo, ed in ogni tempo bassi esperienza, che le cose umane sono incertissime. Molte Provincie sono state un secolo piene di tranquillità, e quasi godendosi un secolo d'oro, od avevano gioconde l'albe, e giocondissime le sere, piene di ricchezza, e non impedite di giovarsene. Ma fra nozze, e fra carole menavano loro giornate lieti sposi, o più lieti padri di famiglia. Non temevano di niuno, perchè niuno avevano offeso; speravano tutti amici, perche Lutti erano da loro amati. E repente sorsero odj, e fecersi sentire eserciti non aspettali quasicchè alla maniera di Coleo