Pagina:Opere (Chiabrera).djvu/385

372 prose

comandata alla sua prodezza riputavasi come caduco e ruinoso. Egli dunque si mosse, ma circondato da gravi malagevolezze. Faceva mestieri di lasciare le Fiandre guernite; provvedersi contra re e guerriero famosissimo; di soldati egli pochi avea sotto le insegne, e di moneta trovavasi povero; ma ad uno eccelso valore tutte le cose ubbidiscono. Misesi in via ron dieci mila fanti e tre mila cavalli: sì fatta mossa non la si credette mai Arrigo di Borbone, nè la si credette perciocchè egli era espertissimo maestro a menar guerra, e comprendeva di qual momento fosse cotale deliberazione; ma l’alto coraggio di Alessandro il fece discredere. Quinci lasciò Parigi disciolto, e con cinque migliaia di cavalli e quattordici di fanti fece incontro al Farnese colà vicino di Mea, e disfidollo a battaglia. Rispose il Farnese, ch’egli non era usato ad accettare consiglio di nemici; poscia in riva di Marna diede assalto a Lagni, terra diligentemente guernita, ed espugnolla sotto lo sguardo degli avversarj; quivi tagliati furono ottocento soldati, cento di nobile magione rimasero prigionieri, e con esso loro il governatore della terra; ed in quel punto il grido degli uccisi feriva l’orecchio del buono Arrigo di Borbone principe di Bearnia, il qnaie. vergendosi non uguale all’inimico, sparse sue schiere per diversi alloggiamenti, e non tenne più campo. Il duca allora, seguendo il cammino lasciatogli aperto, si condusse a Parigi, e fecelo lieto della salute, ed abbondante di ogni cosa dianzi vietatagli, ed indi riprese sua strada verso le Fiandre; e nel ritorno non ebbe assalto che non fosse dannoso agli assalitori. Ora qual’arte si desidera? in che luogo hassi da impiegare eloquenza? Non basta egli sporre le imprese di questo campione, e porle sollo l’altrui memoria? Per sè stesse non parlano di loro condizione, e mostransi maravigliose? Ma se pure le opere eccelse hanno bisogno, e ripongonsi in guardia della fama, dee questo cavaliere dolersi, che ella bocche non abbia a bastanza a celebrare ed eternare le sue azioni. Fu dunque lo scampo di Parigi azione dalle altre ben singolare; ma l’avere mantenuto Roano non fu punto di pregio minore.

Era questa città nobilissima steccata ben fortemente, e poco lunge al cadere in mano degli avversarj; ed ecco al Farnese s’impone, che uscendo di Fiandra studiasse il passo, e si affrettasse a difenderla. Era da farsi novanta miglia di cammino per paese tutto nemico; doveansi varcare quattro fiumare, e tutti ciò fornirsi nello spazio di sei giornale. Posti dunque in acconcio che miglior si potea i Paesi Bassi, venne il Farnese alla volta di Normandia. Il marciar suo era sì fatto: P artiglieria alla fronte, i cavalieri al lato de’ fanti, ed i carri fiancheggiavano i cavalieri: in tal guisa vennesene ben fermo di dare battaglia, se Arrigo faceva vedersi all’incontra. Arrigo, alle novelle della venuta, amò di abbandonare l’assedio; e si ritrasse verso il ponte dell’Arn: allora Alessandro fecesi padrone di Codebecco, ed indi provvide Roano, e fornillo largamente di vettovaglia. Intanto Arrigo aveva di molte parti richiamate sue genti sotto le insegne, ed ingrossato l’esercito, non senza l’aiuto degli Olandesi e degli Inghilesi, mossesi a ritrovare il Farnese. Posti a fronte fecersi alcuni atti di guerra; ma Arrigo non mai volle avventurarsi al fatto dell’armi; finalmente il duca, posti in buono stato gli amici, uscendo da Ivetta e’ tragittò Senna, e conducendosi nella Bria, paese il quale ogni bene avea a dovizia, ristorò pienamente sue schiere, e glorioso tornossene in Fiandra. Quivi non dopo molto di tempo in Arazzo pose fine alla vita.

Ora di questo cavaliero, se Italia ferma il pensamento in su la morte, dovrebbe, non meno che madre disconsolata in su la bara del figliuolo, radersi le chiome; ma se volge la mente allo splendore delle vittorie, dee esaltarsene come di suo veracissimo eroe, e dei suoi alti meriti non mai dimenticarsi, anzi farne a ciascuna ora nobilissima rimembranza. Io per me godo, Signori, di averlo lodato; ma vergognandomi di avere ciò fatto indegnamente,sento noia del mio godimento; tuttavolta già non dee l’umano intelletto prendere speranza di pareggiare con forza di dire le lodi di Alessandro Farnese, il quale tutti quanti ha superati di lode: i savi di senno, i forti di franchezza, i pietosi di clemenza, i fortunati di felicità; il quale, per la fierezza dello spirito potevasi riporre fra’ guerrieri terribili, per la dolcezza del core fra’ principi amabili; ma dovunque fia ponto, ivi ricorderassi come sovrano, di cui erasi manifestamente la prodezza provata, che udendo ch’egli si movea a combattere sapeasi che già egli era pervenuto alla vittoria. E tenere campo contra di lui, era cotanto splendore di guerra, che altri rimanendo senza sconfitta, se ne andava in sembianza di vincitore; e vedendolo in arme i nemici perdeano il coraggio per modo, che egli fu spesso vittorioso senza avversarj; e là dove altri innalzano trofei con la possanza degli eserciti, egli li acquistava con la sola fama del nome: laonde meglio non potevansi sperare buone avventure, che per mezzo di lui, nè meglio che per mezzo di lui potevansi adempiere le speranze. Ora in pelago di tanti pregj ingolfarsi è affogare, rimanersi è non servire: non pertanto non vuolsi venir meno a cotanto Signore: egli, specchio della milizia, egli, norma del valore, egli, disgombratore della viltà, egli, eccitatore della fortezza, gli spaventi a disprezzare, le fidanze a nudrire ne ammaestrò. Domò l’orgoglio degli eretici, e del Vaticano le ragioni sollevò; tale apparve guerriero, quale il chiedevano le cagioni del guerreggiare; la Fiandra corresse siccome errante; alla Francia sovvenne, siccome a languente; e questa ne paventò come di invitto nemico, e quella ne gioì come di fedele custode: ma l’Italia pregiossene e pregierassene eternamente come di suo postato, i cui lampi crescono il moderno splendore e non lasciano menomare le auliche chiarezze.

Io pur direi, o Signori, ma sono in forse in me medesimo’ travio colle parole o favello