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Anversa Sancio d’Avila, e raccomandollo al duca d’Arescotto, indi, pentendosi de’ modi tenuti, egli procacciò per varie maniere di farsi governatore senza patti e senza accordate convenzioni, riparossi nel castello di Namurre, ed armossi quanto potea, laonde venuta discordia fra lui e gli Stati, non piccolo danno intervenne, anzi grandissimo, ed allora la cittadella d’Anversa si appianò, e quelle di Gante e di Valentiana e di Lilla.
Eransi a tale termine condotte quelle basse provincie, macchiate di eresia, intinte di rubellione, gravate di danni presenti, e pasciute di lontane speranze, a’ buoni in odio ed a malvagi in larghissima preda. Sì fatti regni dati furono a governarsi ad Alessandro Farnese, e così fatti prendendo a governargli, egli non disperò. Qui dico io. Se senno fu di don Giovanni morendo lasciarlo in sua vece, e loda di Filippo II, di confermarvelo, fu similmente franchezza d’Alessandro sottentrare a cotanti carichi. E come no? vedevasi il rigore riuscito a rovescio, la piacevolezza indarno tentata, aveano sommi consiglieri errato nel discorrere, espertissimo monarca fallato nel risolvere. Ed un giovine obbligarsi all’emenda di tanti errori, nou fu coraggio ed alta prova disaldo intelletto? certamente egli fu. Nè noi lo vedemmo mentire all’altrui speranze, nemmeno alla sua confidenza, anzi subitamente chiamando i suoi pensieri a consiglio, col disconcio delle cose passate alle presenti egli diede provvedimento, ed armandosi per domare i rubelli seppe con atti d’amore farsegli amici: quinci Henalto ed Artoè, provincie già ripiene di mala contentezza, alzarono la mano, e con nobile pentimento ascoltarono i comandamenti reali, e con esso loro Lilla, Dovai ed Orcie, città di pregio e di non poco momento. Nè meno valse la sua gentile destrezza con esso il conte di Rimberga, ma guadagnosselo dolcemente, e parimente Groninga, terra tanto riguardevole nella Frisia, per tal guisa cangiando le vittorie agli accordi, egli alzò trofei a niuno dannosi, ed a ciascuno disiderabili. Diede poi aigomento di non minore prudenza, quando sorpreso Bruggia, trovando uomini i quali gliele posero in mani senz’armi, e similmente quando schermendo gli avversarj fece le viste di andare altrove, e corse sopra l’Inclusa, e fecesene possessore: ma via più chiaro apparve suo senno allora ch’egli svolse quelle nazioni e quelle terre ad accettare per loro guardia le guarnigioni straniere: azione per verità di singolare maraviglia. Era fra loro il nome spagnuolo in odio supremo; aveano quei senatori e quei popoli consumate infinite preghiere col re Filippo, acciò loro togliesse quella nazione dinanzi, nè compiaciuti, eransi ribellati, e per tal modo che don Giovanni diede bando, diremo, alle squadre spagnuole per acquetare i mal soddisfatti Fiamenghi, ed essi Fiamenghi stimavansi felici col sentirsi quella generazione da lunge: non pertanto ebbe possanza Alessandro di spegnere l’odio, di annullare le memorie, e di assennare quelli intelletti infuriati, e videsi di nuovo l’esercito di Spagna per le campagne di Fiandra, e vi si dispiegarono quelle insegne discacciate, e vi si ascoltarono quegli abbominali tamburi. Queste furono maraviglie vedute, e disperate di doversi vedere, non avvenute per forza d’incanti, nè prodotte con la voce delle sirene, ma col provvedimento di questo signore, e col soave suo comandare e coll’altiero suo sofferire. E via più finalmente manifestossi il suo antivedere nel tempo che navigava l’armata per assalire Inghilterra, perciocchè Alessandro non mai lodò quel cammino, nè commendò quei viaggi; egli sforzossi di persuadere che Zelanda si assalisse, e quindi poi si facesse vela contra Inghilterra; suo consiglio non si ascoltò, ma fecelo apparire ottimo l’universale calamità. Una armata, in cui cotanti anni consumossi tante fatiche, e per cui impiegossi tanto tesoro sciarrossi in un giorno, e si disperse per l’ampiezza dell’oceano, ed in quelle avverse procelle rimase tanta giovinezza sommersa, che tutt’ i regni di Spagna per lungo tempo vestirono a bruno. Tanto costa un buon coniglio rifiutato, ed uno non buono eseguito!
E per fare motto di alcuna cosa, la quale possa avere riguardo alla gentilezza del vostro ingegno: Che crediamo, o signori, che volesse Omero significare, quando egli ne cantò che Diomede ammaestrato da Pallade impiegò Marte nelle battaglie di Troja? Certamente non altro, salvo che il senno tra’ guerrieri sta sopra la fierezza, e che nelle guerre la prudenza dee sempre avere suo luogo: la qual prudenza se mai non si discostò dal fianco del nostro duce, via meno discostossene allora ch’egli esaminando come darsi dovesse principio agli assalti contr’a’ nemici, propose di moversi dirittamente verso Mastricche, città onde aveano il varco le genti della Germania per entrar nelle Fiandre contra il re cattolico, e donde molte fiate erano trapassate; sì che, serrato quel passo agli eretici, veniva meno il soccorso; e di più, essendo la città molto ampia e ben provveduta e di soldati ripiena, e per altrui stima ad espugnarsi mollo malagevole, atterrandosi ella avrebbe sbigottito ogni altra che mirasse lei atterrata, e così fu. E però deesi il duca Alessandro riputare prudente, tuttochè egli affrontasse l’impresa pericolosa, perchè il principio è la maggior parte dell’opera. Nè quivi fu data occasione al Farnese di rimembrare i popoli asiani, ai quali Cesare giunse, videgli e vinsegli, anzi egli ebbe a fare con uomini guerrieri e forti, e che non solamente cinsero la spada, ma la impugnarono, e nel caldo della battaglia videro in fronte la morte, nè se ne sgomentarono: e così fatti capitani e soldati si accampavano dentro una città ampia, e partila da grossa fiumara ed afforzata con ogni macchina militare, laonde necessario fu, che sangue si ’ spandesse copiosamente, e molti campioni di pregio perdessero la vita infra coloro che assaltavano, e coloro che risospingevano gli assalitori: finalmente, fatta forza ad ogni contrasto, dopo molli mesi vi si apersero l’entrata i Cattolici colla possanza delle destre e col vi-