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durre a credere che nel linguaggio Toscano l’uomo nato in terra Toscana malamente potesse vincersi, ed a fatica pareggiarsi nell’opera dello scrivere. Ma altramente in ciò è da giudicarsi secondo me; anzi colui, il quale solamente sa ben favellare, non merita loda scrivendo; ben gli si dee biasimo, se egli scrivendo favellare non sapesse. L’uomo eloquente dee potere con la forza degli argomenti persuadere altrui e col turbare le passioni dell’animo e con l’apparire di costumi sì fatti che l’uditore si rechi a vergogna non gli dar fede. E se ciò è vero, io prendo ardimento di porre Sperone Speroni a paro di qualunque scrittore sia stato, non consentendo che alcuno gli vada innanzi neppure un poco; e quando per le sue scritture non se ne facesse prova abbastanza, sarebbe ragionevole darselo ad intendere per le riguardevoli sue qualità; perciocchè egli visse ottanta otto anni, e sempre mai fra persone ben dottrinate, e per natura egli fu d’intelletto nobilissimo, e tale fu la sua memoria che nè anco nella gran vecchiezza non menomò. E però se egli ebbe desiderio di avanzarsi nelle lettere (e modo non gli venne meno di questo desiderio compire, e dalla natura fu ottimamente disposto) che cosa poteva divietargli il pervenire a pregi sommi ed ammirabili? Scrisse dunque con ogni eccellenza, e spezialmente Dialoghi, ove possiamo affermare che per lo valore de’ suoi non ha la lingua italiana di che invidiare l’altrui. In questa scrittura cotanto è il numero degli argomenti, e tale è la robustezza nel vibrarli, e sì fatta l’accortezza nell’allegarli, e sì grande finalmente la gentilezza nel dispiegarli, che l’uditore crede e discrede pure, secondo che ascolta, e di buon grado consente alla violenza che gli vien fatta, in modo che dassi vinto e dilettasi nella vittoria, sempre ammirando la forza di chi lo soggioga. Ora che dee volersi dagli scrittori? e che ne vuole il mondo pur fino a qui? Certamente l’arte del persuadere con ogni fortezza fu pregio di Sperone e gloria. Compose la tragedia Canace, ed ella fu sottilmente esaminata ed acerbamente ripresa, ma egli, difendendola, fecesi maraviglioso fuor di misura senza dubbio; perciocchè è vero che leggendosi la tragedia, non scorge il lettore come in alcune parti possa scusarla, ma sentendo le scuse, confessa che in ogni parte è costretto di commendarla. Scrisse similmente una Apologia per li Dialoghi, e scrisse di maniera, che obbligo dobbiamo a quei saggi i quali tentarono che essi rimanessero condannati, per la nobile scrittura che egli distese acciò fossero prosciolti. Ed in questo grande uomo fu strana cosa, che egli non seppe altro che scrivere toscanamente, e padovanamente parlare. Ben è vero che egli favellava in guisa che più nobile idioma non si desiderava ascoltandolo, e le corti di Padova ed i tribunali di Venezia ne serbavano memoria, e ne fanno alta testimonianza. Non mai scemò la sua gloria nel corso lunghissimo della vita, e dopo la morte gli crebbe. Che più? Padova per decreto pubblico alzògli statua onorando il cittadino, da cui tanti erano a lei pervenuti onori. Veramente fu lo Sperone grande ornamento all’Italia; negar non si può; è all’incontro da dubitarsi, che egli in alcuna parte sarà per nocerle; perciocchè molti, i quali per sè chiari nel tempo a venire l’averebbono illustrata, rimanendo dal fulgore di lui quasi senza alcun lume, non averanno di che adornarla grandemente. Non pertanto è bene che in fra le stelle sparga i raggi, splenda il sole sovranamente.


Parlando di Torquato Tasso, hassene, secondo me, a parlare intorno a pregio di poesia, per la quale tutta Europa ha altamente di lui parlato, nè senza ragione; chè dire del sangue e della sua patria e di cose simili, non si racconterebbono lodi, onde egli andasse più su che gli altri; quantunque egli perciò sia stato riguardevole nel mondo, come ciascuno ben nato; ma di personaggio fatto si singolare dalle altre persone per sommo studio, sarebbe una fatica dire qualità nelle quali non è, salvo pari agli altri. Ora sembrami che il Tasso in fra i poeti volgari si rappresenti quale presentossi Virgilio fra’ suoi latini; conciossiachè Virgilio dottrinossi nelle scuole de’ filosofanti, e nel suo poema fu vago di far mostra della dottrina imparata; ed avvegnacchè più maniere di poesia egli trattasse, non pertanto vedesi ch’ei nacque alle grandi, e per celebrare pure gli eroi; e nel poema suo rivolgendosi verso la sublimità non fissò la mente ad alcuna condizione di favola, nè a porre minutamente sotto gli occhi a’ lettori con le parole le cose narrate si travagliò, ma sempre mai vola per l’alto, e verseggiando fa rimbombo, ed empie fortemente le orecchie con infinita soavità. Similmente Torquato non attaccossi alla singolarità della favola, nè minutamente fece la sua narrazione, ma intento a sollevare il verso toscano, tuona e colma l’uditore co’ versi suoi d’insuperabil dolcezza, e dove gli viene in acconcio, non schifa di mostrarsi ben dotto e domestico delle scuole; nè perchè in varie maniere egli poetasse, fu mai miglior poeta che faticandosi nella epopea. Possiamo similmente contare come Virgilio lasciò l’Eneida imperfetta per morte importuna, ed il Tasso non diede a suo grado fine alla Gerusalemme per accidente peggiore che morte: ambidui rimasero poco soddisfatti di loro scrittura, ma nondimeno i secoli corsi da poi hannola stimata se non senza paragone, tuttavia senza errore; e veramente specchiandosi in questi poeti, tutti i poeti, se fieno poeti, affisserannosi. Per tal maniera suo studio e natura fece il Tasso a Virgilio somigliante; ma per altra mostra che egli somigliante sia ad Omero. Non voglio cominciare da alto, e dire che uno si nacque molto poverello, come si sa, e l’altro sul cominciamento della vita vide al padre togliersi tutto il suo avere, onde, siccome ad Omero, a Torquato convenne sostenersi dell’altrui cor-