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del chiabrera | 363 |
giudice sopra la misura del vivere umano? — Laura poteva vivere più lungamente. Ed io dico, ch’ella poteva auro morire più tosto. Perchè dunque non dar grazie di ciò che s'era a lui conceduto, anzi che far querela di ciò che gli si toglieva? Vivamente gli si fa sentir Laura, o signori: — Di me non pianger tu.. Chi vede, o Petrarca, uno stroppiato piagnere sopra la ventura d'amico che si risana? Qual nocchiero nella procella s'attrista sopra il diletto navigante che si chiude nei porti? — Di me non pianger tu: vivere non è quello che ne mena a morire, anzi è quello che ne mena a mai sempre durare: a tale stato io trapassando son pervenuta, e però di me, consegnata all'immortalità, non pianger tu, rimasto sotto la falce della morte: il mondo è campo di battaglia, vi si combatte in forse di vincere e di esser vinto, ma qui nel cielo non si mira, salvo trionfi; e però di me, riposta tra le palme della vittoria, non pianger tu, confinato tra i pericoli della guerra. — Di me non pianger tu, che miei dì ec. il sole, onde tanto voi, o mortali, prendete conforto, non tramonta ogni sera? non vi lascia la metà della vita in tenebre? io, all'incontro, godomi un lume, il quale ne sorgere ne sa tramontare; e quando in questo apersi gli occhi, io non gli chiusi a cotesto vostro; fu inganno, feci sembiante, mostrai di chiuderli, ma veramente gli apersi, e perciò di tuo non pianar tu; di me eternamente luminosa, di me fornita d’immensa contentezza, di me finalmente divenuta beata non pianger tu, mio fedele, tu che cotanto mi amasti, tu che ti trasformasti in me perfettamente, di me non pianger tu.
”Qui pareami, o signori, e per ventura può alle Signorie Vostre parere che questa damgella francese voglia troppo altamente governare l'amima del Petrarca, e togliendolo affatto dalle passioni umane, disumanarlo. E quando fu che sopra i cari sepolti non si spendessero lagrime e non si traessero guai? Forse il Petrarca, come poeta, non ben consigliossi appresentendola così severa alla mente de' lettori. Certamente Virgilio volle che Evandro mostrassi grave cordoglio su la morte di Pattante suo figliuolo, e che Anna acerbamente si querelasse alla novella di Didone sua sorella ueciasi. Omero stimò ben fatto, che sopra il corpo di Ettore piagnesser Priamo, Ecuba e Andromaca, e per Patroclo si dolse, non che altri, Achille medesimo.
”Nelle tragedie ninna cosa fassi più spesso, nè con tanto sforzo, come lamentarsi e dimostrami tribolato: forte ragione, o Signori, per verità, ma io m’ingegnerò di rispondere in questa miniera. I poeti avvegnaché sempre rappresentino, non rappresentano sempre ad un modo; alcuna volta ci mettano innanzi gli uomini quali essi sono, ed altra quali essere doverebbono; e ciò fanno secondo i fini che si propongono nelle poesie, e secondo che meglio loro sembra di potorie condurre. Qual uomo verrebbe biasimalo dagli uomini comunali s’egli eleggesse di viversi senz’affanni in una perpetua giovanezza? Certo questa arebbe sembianza d’uomini quali ad ogni ora si veggono. Omero all’incontro cantò, che Ulisse fece rifiuto di questa offerta, e di buon grado si tolse dall’isola di Calipso. Comunemente un uomo non si sporrebbe a morte certissima per vendicare l’amico, ma Achille tuttoché da Tetide dea si facesse certo che giovanetto rimarrebbe ammazzata sul campo di Troia, non restò di dare battaglia ad Ettore; e per questa guisa Omero formò la immagine de’ cavalieri, non quali si vivono, ma quali si doverebbono vivere. Andiamo alle tragedie. Euripide, nella favola intitolata Gli Eraclidi dice, che Macaria sul fiore degli anni si lascia scannare per lo scampo dei giovinetti fratelli; e non si canta di ciò perchè tutto il giorno si faccia, ma perchè dovrebbe farsi. Alceste, appo il medesimo, nella tragedia così chiamata, accetta da sua posta la morte perchè Amego suo marito si conservi in vita. Dunque dichiamo che il Petrarca non tue non instauri la strada del poetare, quantunque finga Laura maestra di tanta severità; anzi gli portossi da buon poeta per due ragioni; una perchè Laura era a manto, l'altra perchè ella si rappresenta beatificata. Chi non ama non si dà pensiero, o Signori; vive e lascia altrui vivere a voglia sua: d'altra parte, Amore è cosa piena di pensamento, ammenda i suoi cari, gli corregge se errano, procaccia ch'essi si avanzino.
”Dice il Petrarca, che ninna madre con tanto affetto non porge consiglio in dubbio stato al figliuolo, nè sposa al consorte, come Laura porgevalo a lui. Ma come beata e come cittadina del Cielo, perchè non dovea caramente riprenderlo delle passioni soverchie? e perché non farlo accorto delle sue dismisure? Senza dubbio dovea Laura ragionare delle cose mondane, siccome di vanità: sì fatte sono, e sì fatte le conosceva; che i Celesti ci sollevano oltre le operazioni umane; e vedesi nei poemi famosi. Nel secondo dell'Eneida leggesi, che nella estrema ruina di Troia, Enea scorse Elena nel tempio di Vesta, e pieno d’ira avventassi per ammazzarla. Venere affacciossegli, e lo frenò, e diceagli: Quid furis? E tutto ciò perchè altri sono i pensieri degli uomini, ed altri quelli degli Dei. Veggiam similmente tale cosa in Omero. Priamo, vecchio abbandonatissimo, piangere la morte di Ettore, e desiderare il suo corpo per seppellirlo. Era in mano di Achille adiratissimo; dovea quel vecchio re partirsi di casa sua, porsi in balia dell'avversai io? Certo no, ma viene Iride mandata da Giove, e dagliene consiglio, e vuole che Priamo faccia azione alla quale comunemente gli uomini non volgono il pensamento. Diremo dunque, che il Petrarca, secondo la mortale