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IL FORZANO
DIALOGO
in cui è introdotto un discorso sovra
un sonetto del petrarca
e Gio. Battista Forzano.
P. D’onde e dove, signor Giovambatista?
F. Ieri venni di Genova, questa mattina fui ad adorare la Madonna santissima di Misericordia, ora io cercava a casa il signor Chiabrera, ma non è vero ch’io ve l’abbia trova-to: ecco ond’io vengo, dove mi vada non mel so.
V. Il signor Chiabrera non è da cercarsi in casa a quest'ora, egli dee essere a Siracusa.
F. Come domine a Siracusa? già ben vecchio fa così fitti viaggi?
V. Non è, questa ch’io dico, Siracusa di Sicilia; ella è Siracusa di Parnaso.
F. Non apprendo.
V. Dirovvi; voi sapete ov’era la chiesa di s. Lucia su la strada di s. Jacopo. Quella che era già vecchia s’è abbattuta, ed essene murata un’altra alquanto maggiore della vecchia: rimase un poco di mina sovra uno scoglio, e il signor Cbiabrera ha di muraglia recinto quel luogo, ed hallo partito in picciolo giardinetto ed in picciola cameretta, dalla quale si passa in una loggetta ed in un poco di gallerìa.
F. Deh, perchè gli venne vaghezza di sì scarse abitazioni?
V. Perchè le condizioni del picciolo luogo non sono nè picciole nè vili: la chiesa lo guarda dal vento tramontano, sì che il verno non vi pon freddo, ed essendo sposto al mezzogiorno, per la loggetta entra il sole e hacci l'aria tepida soavemente; e per la stagione del caldo, godesi il fiato de' venti marini, il quale rinfresca alcuna volta soverchio; giugnète, che è su la via di s. Jacopo, frequentata da' cittadini e da' uomini di villa per modo che stavisi solitario o accompagnato, com’ altri vuole.
F. Voi me lo rappresentate si fatto che mi prende voglia di più intenderne.
V. L’avanzo diravvelo l’occhio. Andiamo colà; troveremovi il signor suo; se non vi dimorasse, ho meco la chiave, perchè di suo buon grado posso entrarvi e soggiornarvi a mio talento.
F. Andiamo, ed anco di buon passo. Veramente è bella questa veduta di mare!
V. Già sapete, che i poeti cantano Venere, esservi nata; essi non invano il cantano.
F. I piani di Lombardia non si vergognino di essere vinti: queste sono pianure moventisi, nè giammai l’occhio a loro ritorna che le trovi quelle medesime.
V. Ora siam giunti: io aprirò, perchè il signor Chiabrera non c’è; egli dee essere alla sua villa di Leggine — Mirate: eccovi Genova, che ci si mostra manifestissima; mirate tutte le rive e tutti i capi delle montagne; mirate barche che veleggiano e che vogano. Ma entriamo nella stanza; già non credo che desideriate più lume; qua, su la sera, luce come di bel mezzo giorno.
F. Per verità, che sì fatto scoglio non poteva meglio adornarsi: sediamo, e confortiamoci — Ma che fogli sono sul tavolino?
V. Non so; nome di autore non si legge; ben veggo scritto: Discorso sovra un Sonetto del Petrarca.
F. Questa scrittura darà compimento al nostro diletto.
V. Veramente il signor Chiabrera de' componimenti volgari non suol tenere i volgari — Qui ambedue non possiamo leggere; uno legga, e l’altro ascolti.
F. Io sarò l'uditore, perchè la mia vista incomincia a farsi fievole.
V. Dunque incomincierò?
F. Io ve ne prego.
V. Udite.
”Condottomi in questo luogo, io non so, o Signori, se la presente azione debba essermi cara o discara, e se la mia memoria dorerà rimanervi gioconda, o no. Veramente essere posto in seggia destinata ad uomini chiari per favellare è grand’ onore, ed essere ascoltato di a persone d’ingegno e d’intelletto sublime, vie più; ma queste condizioni averebbono forza quand'io potessi tanto o quanto accompagnarle. Certo io non ho per lo spazio della mia vita tentato d’onorarmi in sì fatta maniera, nè altrettante parole ho fatte in prosa giammai. Che dunque posso io aspettare per l'esercizio di un’arte la quale io non appresi? Egli è vero, che la vostra singolar gentilezza perdonerà le mie colpe, ma senza dubbio il vostro allo sapere pienamente le comprenderà; e per tal modo le cose che ad uomo esercitato in questi affari direbbono coraggio, a’ miei pari possono dare spavento: non per tanto io voglio fare animo a me medesimo, e di buon grado pormi in questo arringo. La vostra vaghezza di sentirmi farà scusa della presonzione che potesse oppormisi. E qual colpa di villano costume ugual alla mia s’io non avessi ubbidito? sosterranno dunque lo Signorie Vostre per brevissimo spazio la noia di udire un uomo, che parla non perchè sappia parlare, ma perchè fu preso da desiderio di servire; ed è in questo luogo, non per torlo a chi con tanto valore l'onora, ma per doversi pregiare della ventura d'esservi potuto venire. E di questo non più; ben dirò due parole sopra la materia del mio Discorso.
”Io, o Signori, se fossi esperto di alcuna scienza, vi porterei all'orecchie alcun soggetto onde potessero le SS. VV. adornare la sublimità del loro intelletto, ma io ho speso gli anni negli orti delle Muse e sulle pendici del Parnaso, e però tenterò di ricrearvi con la