Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
338 | prose |
nella lingua toscana1; a ciò fare non basta la possanza d’alcuno uomo.
S. Perchè?
V. Perchè ciò che misura le sillabe latine, non bene misura le toscane, e col modo nostro di misurarle malamente potrebbesi accozzare le sillabe nostre per modo che se ne creasse il verso esametro de’ latini; e ciò ha seco ragioni ed esperienza, e non è da più farne parola.
S. Dunque atteniamoci al nostro verso endecasillabo, il quale altramente appelliamo intero, ed egli sarà instrumento del poeta eroico.
V. Sì certamente; ma sarallo con rima, o senza rima?
S. Mi si presentano diverse opinioni.
V. Ed a me diversissime. Gio. Giorgio Trissino, lume chiaro di Vicenza, e non oscuro d’Italia, lo disciolse da questi obblighi, ed il suo poema compose senza rima niuna.
S. Non pare che il suo voto fosse accettato in Parnaso, posciachè il poema non piacque.
V. Anzi poteva piacere su le cime in Parnaso alle Muse, tuttochè sul basso piano non piaccia al popolo; ed io voglio ridirvi cosa da non annoiarvi, a me da un nostro carissimo amico già detta; ed è, che Torquato, già divenuto splendidissimo per la chiarezza del suo poema, udendo ragionare intorno al verso sciolto, e condennarlo pure per ciò, che quel poema del Trissino non dava diletto, egli disse: Che per altro poteva non dilettare che per lo verso; parola degna di pesarsi, uscendo da sì fatto uomo, il quale la mandava fuori del petto, e non solamente fuori della bocca.
S. Che che si fosse di questa parola, egli pure condennò quel modo di verseggiare con l’opera.
V. Io non v’intendo.
S. Oh! non formò egli il suo poema con versi rimati?
V. Qual poema?
S. Qual poema? Gerusalemme liberata.
V. Ma nel libro del Mondo creato qual rima si legge? Se la rima conviensi al poetare altamente, sono più alte le opere degli uomini, che quelle di Dio?
S. Sì, ma il Mondo creato non è epico poema, com’è la Gerusalemme.
V. Non voglio questionare sopra ciò; ma per esempio de’ Greci e de’ Latini gli si dovea il verso eroico, e l’eroico verseggiare. Se Torquato era colmo di gloria con le rime che altro cercava fuor delle rime? Non aveva egli col suo canto incantati gli uomini italiani? non aveva egli trattosi presso tutta l’Europa? Chi lo consigliò a por mano al verso sciolto? speranza di più piacere non già, perchè a dismisura avea piaciuto co’ versi rimati: savio alcuno non lo persuase, perchè in simili affari savio come lui non aveva il mondo. Chi dunque ve lo condusse? io stimo che la coscienza lo garrisse, e che veggendo la verità, non gli soffrisse l’animo di abbandonarla.
S. Ed io direi un’altra cagione, ma, lasso me, se ne fossi accusato a’ Marmi!
V. Dite francamente; io nulla ne rileverò.
S. Allora ch’egli poetò intorno alla Fabbrica del mondo, l’umore malinconico lo possedeva.
V. Io vi afferro: egli era pazzo, e dei pazzi non ha valore l’autorità: voi dite così, ma io rispondo, che dare forma all’Universo, e della somma sapienza di Dio trattare convenevolmente non è impresa da pazzo. Dove errò egli? qual fallo commise? S’egli fosse stato savio, come altramente avrebbe potuto farsi ascoltare? Nè de’ furori del Tasso deesi favellare con bocca stretta; minore maraviglia darebbe il suo senno s’egli alcuna volta non impazzava: ma ora con ragione stupiamo di lui, veggendo che perfettamente adoprò l’intelletto, allora, che egli non l’avea con esso sè.
S. Se ci diamo a commendare Torquato, il giorno quantunque lungo sarà brevissimo. Ma Samo ha de’ vasi abbastanza, ed Egitto de’ coccodrilli. Che diremo dunque, o Vecchietti carissimo?
V. Che diremo? che secondo il Tasso più tempo bisogna a tanta lite, e che egli viveva in dubbio, se il verso rimato fosse acconcio al poeta narrativo, oppure lo sciolto.
S. Mi fate sovvenire che questo uomo sì grande non fu solo a così pensare.
V. A me altri non torna a mente. Chi fu questo secondo?
S. Luigi Alamanni: egli scrisse con rime l’Avarchide, e senza rime la Coltivazione dei campi.
V. Ma questa Coltivazione non è epopea, e però forse non è forte il vostro argomento.
S. Virgilio compose la Georgica col verso esametro, onde possiamo affermare che alla Coltivazione si voglia dare quel verso il quale egli diede all’Avarchide, siccome Virgilio le diede quel dell’Eneide.
V. Glieli diede, ma senza rima.
S. Ma senza rima egli è verso da epopea.
V. Io nol so.
S. Dunque cerchiamone per altro modo che per l’esempio de’ poeti, i quali sono fra loro in discordia grande.
V. Bernardo Tasso non quetandosi all’autorità degli antichi, s’affannò di investigare novella coppiatura di rime, e fecene esperienza nell’egloghe sue, ed in altre maniere di poemi a’ quali gli antichi assegnarono l’esametro; così fece Bernardino Rota similmente.
S. Ma costoro non hanno persuaso il mondo.
V. È vero; e secondo me, non potevano persuadere; ma io ne faccio menzione a provare che i poeti non sono in questo affare di una opinione; anzi discordano grandemente. Che più? non solamente i poeti discordano, ma i loro maestri.
- ↑ Anche nei tempi a noi più vicini si usarono da alcuni distinti ingegni i versi esametri e pentametri italiani. Giuseppe Rota bergamasco, curato di s. Salvatore, che fiorì dopo la metà del secolo passato, scrisse un poema tuttora inedito del Diluvio Universale in esametri italiani. Egli aveva ancora dettato i precetti e la prosodia di una tale versificatone: ma questo suo lavoro si crede perduto. Di Giuseppe Astore compatriota e coetaneo del Rota, e morto assai tempo prima di lui in età ancor fresca, si ha un elogio volgare ad imitazione delli latini, inserito nelle Rime oneste raccolte dal Mazzoleni.