Però placati, o Clori, il nostro Alcippo
Se pure egli ha peccato,
Commise error, che sempre, e ’n ogni loco
Quasi a la gioventù fu perdonato,
E se la colpa suol per pentimento
Scusa impetrar, non la negare a lui,
Il quale oggi si pente, e così duolsi
Con angoscia infinita
D’averti unqua spiaciuto, ch’egli abborre
La sua medesma, vita,
E s’ostinata chiedi,
Ch’ei s’affoghi ne l’onde d’Erimanto,
Ei non s’oppone a’ tuoi desiri, il padre
È che ti prega, e che ti piagne a’ piedi,
Miralo, o Clori; quei sembianti afflitti,
Quegli occhi lagrimosi, e quei singhiozzi
Non saran degni ritrovar mercede
A tanti suoi dolori?
Vorrai, ch’un sol momento
Gli sia donato il figlio,
E sol per suo tormento?
A tanto di miseria
Alcippo sia venuto,
Che sol per darsi a morte
Sia da’ suoi conosciuto? arà provata
Ogni strana provincia a sè pietosa,
E la patria spietata? se Dameta,
Che ti produsse al mondo, oggi vivesse
Per sua bontà da noi ben conosciuto,
Non pure a perdonare,
Anzi ti stringerebbe
A volerti sposare.
Ora egli è morto, e quando
Ei si morì, commise a nostra fede
La tua persona, onde esser dei secura,
Che noi ti consigliam come duo padri:
E riguarda, ch’a noi tutte le ninfe
Han ceduto il governo di sè stesse.
Non dei dunque tu sola aver temenza
D’incontrare alcun biasmo
Con la nostra sentenza.
Clo. Poi che ciascun in fra le nostre selve
Vi riverisce, come padri, e lascia
Regger al vostro senno i nostri affari,
Io non vo contrappormi
A le vostre sentenze,
Onde questa provincia oggi si regge,
Salvisi Alcippo; e si riguardi a Tirsi,
Più ch’a la legge, io non ne fo contrasto,
E vi voglio contenti;
Ma non sia chi di lui mova parola,
Nè più me lo rammenti.
Tir. Ah Clori, ah Clori,
Deh non esser ritrosa,
Mira, che ’n verità mi togli a morte,
Ma non sai già ch’io viva,
Apprendi intieramente esser pietosa,
Tu benigna Aritea,
Non mi venire a men del tuo soccorso,
Darà forse a’ tuoi preghi
Nostra felicità, che mai sventura
Vuol, ch’al mio pianto neghi.
Arit. Clori, come compagna
Favellerò con te con molta fede,
Pensa sul fior degli anni,
E su la vaga tua bellezza, e pensa
Ch’avendoti la morte dispogliata
E di padre e di madre
È mestieri appoggiar tua giovinezza,
E darle scorta, onde giojosamente
Tu possa camminar per questa vita,
Nè men securamente,
E ciò per ogni parte
Altro non è, che divenire sposa,
E poscia madre, e se sposarsi è senno,
Come tutti siam certi,
Sposarti con Alcippo
Certo non dee spiacerti,
Primieramente tu guadagni un padre
Sì fatto, quale è Tirsi, e molta schiera
D’onorati parenti,
Ti verranno alle man tante ricchezze
E di gregge, e d’armenti che maggiori
Per questi monti alcun non le possiede.
Qual delle nostre ninfe
Saprebbe disiare a sè conforto
In queste nostre parti
Miglior d’Alcippo? ed egli
Non sa per altra ninfa
Vivere in questo mondo, e solamente
Viver vuol per amarti.
Clori non ti negare alla ventura,
Ch’oggi ti viene incontra;
Tu non odi parole di nemici,
Sei da costor sinceramente amata;
lo teco son cresciuta, ogni tuo male
Sarà mal di me stessa, e ti consiglio
Perchè ti vuo’ beata.
Clo. Ah che tu mi fai forza, nel mio core
Sento un forte contrasto;
Non posso consentire,
E disdir non vorrei:
Io rimango confusa, e non so dire
Gl’interni affetti miei.
Arit. Orsù dammi la man, non più pensare;
Entriamo dentro, e ritroviamo Alcippo;
Incomincia ad amare.
Mon. Su, Clori, omai disponti,
Rallegra i nostri monti, in queste selve
Non sarà mai ritorno,
Che per te non si canti
Un sì felice giorno.
Clo. Che più dirvi deggio io?
Sia nelle vostre mani,
E voi reggete il freno
Di ciascun mio desío.