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DEL CHIABRERA | 333 |
Voi vedete un disprezzo di natura,
Natoci per morir subitamente,
Campato dalla morte,
Per offerirsi a più crudel ventura.
Tir. Colui che ti raccolse
Come chiamossi? e dove
Ti trasse d’Erimanto?
Meg.Ei si chiamava, ed anco oggi si chiama
Per nome Melibeo,
Ei solea raccontarmi,
Che là, dove Erimanto
Entra nel fiume Alfeo,
Già vide correr voto un navicello,
In cui solo posava un fanciulletto,
Ch’avea forse cinque anni,
E lo trasse dal fiume in sue capanne,
Questo è quanto di me solea narrare
Quel mio padre, non padre,
E ch’io posso contare,
Tir. Dimmi, del nome tuo tieni memoria?
Ei come t’appellava?
Meg. Qual fosse veramente il nome mio
Son del tutto ignorante,
Ei mi disse Nerino,
Perché ne i pianti miei
Solea chiamar Nerina.
Tir. O pietade del ciel sempre infinita,
O fosca umana mente,
Montano, il mio pensier dove traea.
Me lasso, e me dolente?
Mon. Io certamente, o Tirsi, ho contrastato
A tue voglie severe,
Però che forza occulta
Mi conduceva a così fare, Dio
Il qual sempre è pietoso
Sia sempre anco lodato.
Tir. O carissimo, omai
Non più Nerino, omai non più Megilla,
Ma sia tuo nome Aicippo,
Non più della ventura,
Ma figliuolo di Tirsi.
Nerina era tua balia,
Ella andava a diporto
Con altre donne giù per l’Erimanto;
Fu con forza assalita
Da fiero stuolo d’uomini malvagi;
Seco ei trasser le donne,
E le solo lasciaro in sul naviglio,
Preda della ventura:
Dopo non molti giorni
Nerina liberata a me sen venne,
E narrò la sciagura: immantenente
Fei cercar d’ogn’intorno un lungo tempo,
Ne sentendo di te novella alcuna,
Io ti tenni per morto.
Ho ben pianto dieci anni,
Ne più speravo rivederti; o solo
E tardi ritrovato,
E mio vero conforto.
Meg. Tirsi, se ciò che narri, e fermamente
Ti metti nel pensiero
È da esser creduto, io proverollo
Con ben certo argomento:
Quando da Melibeo mi dipartiva,
Mi fe’ queste parole:
Tu parti, ed io son yecchio,
Ne so, s’arò ventura
Di più mai rivederti;
A molti varj casi
Esser puoi riserbato
Esempio de’ mortali,
Però da me ricevi, e ben conserva
Questi pochi segnali;
Dal collo io te gli tolsi in su quella ora,
Che ti trassi dal fiume,
Di qui forse potrai
Farti noto a’ parenti,
Quei segnali son questi, che dal collo
Pender tu mi vedrai.
Tir. Ogni dubbio è rimosso,
Certa è la verità: dunque piangendo
Non finirò mia vila,
Averò pur chi mi rinchiuda gli occhi
Su l’ultima partita.
Meg. Tirsi, però che padre
Non ti voglio chiamar, quando assai poco
Hai da goder tal nome: il troppo affetto
Ti toglie di te stesso, e non avvisi,
Che ritrovi un figliuolo,
Cui di vivere omai non è concesso,
Tre son, che fortemente
Contrastano mia vita,
La vostra legge, onde io
Omai son condannato;
Clori, che sol desio
Ha di vedermi ucciso, ed io che senza
La compagnia di lei
Non vuo’ che vada innanzi
Pur un de’ giorni miei.
Tir. Deh che si metta in bando
Un si fatto parlar: ben troverassi
Modo ad uscir di pena,
Dio, che fin qui stato è con esso noi
Non ci abbandonerà, movi Aritea,
Trova le ninfe, trova
Clori, racconta lor ciò ch’hai veduto,
Sponi miei prieghi, e teco
A noi qui le conduci,
Montano, entriamo in tanto
Dentro queste capanne, ed attendiamo
La fin d’ogni mio pianto.
ATTO QUINTO
SCENA PRIMA
Tirsi e Montano.
Tir. L’avvenimento inteso,
Montano, ha dimostrato, i tuoi consigli,
Siccome più pietosi,
Esser miglior de’ miei,
Però come più saggio
Volgi la mente a trarmi
Di questi casi rei;