Che sovra i miei costumi
Altri possa mentire, ed aver fede
Di non perder credenza?
Rispondi, che sai dire?
Meg. Mi costrinser le Ninfe
Sotto pene di morte a far palese,
Perchè sì sconosciuto
Qui facessi soggiorno;
Così costretto io dissi
Esser forza d’amore.
Fecer comando poi, ch’io rivelassi
Il nome della Ninfa, onde era amante,
Dissi chiamarsi Clori.
Dissi così, perch’era vero, ed anco
Per provar l’onestà dell’amor mio;
Certo la tua virtù ben conosciuta
Non è per consentire
Ch’a te si volga alcuno
Con biasmevol desire:
Chiedi, qual cosa mi facesse amarti?
Io ti rispondo, o Clori,
Bellezza ed onestate,
L’una e l’altra infinita;
Ora, s’amar per cotal guisa è colpa,
Debbo perder la vita.
Clo. Parole lusinghiere
E ripiene di froda; ove giammai
Vedeste me? rispondi;
Parla omai; fa ch’io ti oda.
Meg. Pur or si compie l’anno,
Che tu venisti in Elide alle feste
Su le rive d’Alfeo;
Colà ti rimirai;
E sì fatto mirare
Chi s’intende d’amor suole chiamarlo
Ardere, e consumare.
Clo. E chi d’amore è preso
Ha da vestir panni mentiti? ed indi
Dimora fare in divietate selve?
Sprezzar decreti; rompere costumi
Di popoli onorati?
No, non per certo; abbiamo
Legge contra costor, ch’in Erimanto
Abbia da gir sommerso,
E tu certo v’andrai,
S’a manifesta colpa
Deve seguir la pena;
Fingi, e menti, se sai.
Meg. Quanto di sopra ho detto,
Dissi per obbedire tue parole,
Che chiedean mia risposta;
Io non mi scuso, affermo
Esser degno di morte;
Eccomi in vostra forza;
Non è chi vi contrasti,
O per me metta voce.
Per questo condennato
Non è padre, che pianga,
Non fratel, che sospiri,
Non madre, non sorella,
Che vi si getti a’ piedi,
Clori, non infiammare
Lo sdegno di costoro;
Io vuo’ morir, tu ’l vedi.
Clo. Ora a voi, padri, e che di questi monti
Conservate le legge che vegghiate
Su la nostra salute
Con pregio di valore,
Altro non posso dir, salvo che pende
Dalla vostra sentenza il nostro onore;
Costui non può negare, e non vi nega,
Che sapea nostre usanze, e non per tanto
L’ha rotte, e disprezzate
Con malvagio disegno;
Quanto a l’animo suo, quanto appartiensi
A’ suoi pensier, noi siam tutte impudiche;
Sì fatte ei ne bramava; or voi pensate
Alla colpa, a l’esempio,
Ch’altri ne piglierà, se ’l sopportate;
Pur or per la mia lingua unitamente
Qui sono a ripregar tutte le ninfe,
Che la loro onestà per voi secura
Sia fra queste montagne; io certamente
S’egli ha scampo da voi,
Ma tal disavventura io non aspetto,
Scelgo il più forte stral da la faretra
Per trapassargli il petto; io più non posso
Qui stare a rimirarlo,
Contra ira m’accende;
Andiam, Leucippe, andiamo
A ritrovar l’amate
Nostre compagne, e voi,
Fate, ch’oggi apparisca
Vostro senno e bontate.
Mon. Non porremo in obblío
Nostro dovere, e farem sì, ch’altrove
La giustizia di noi
Chiara risplenderà
Non mossa da disdegno,
Nè da pietà; tu, se ti piace, omai
Garzon mal consigliato
Adduci tue ragioni, e fa difesa
Pur per la tua salute
In sì dubbioso stato.
Meg. Pur dianzi io dissi, ed ora vi confermo,
Che posto in grave ardore
Per la beltà di Clori, io fei pensiero
Di cangiar panni, e simigliarmi a Ninfa;
Frodi, ch’insegna Amore;
Erano miei disegni,
Per ogni guisa lusingarla, e quando
Al suo gentil giudizio i miei costumi
Per suprema ventura
Giunti non fosser vili,
Sì che l’alto suo cor fosse piegato
A non avermi a scherno,
Allora io proponea farle palese
Tutti gl’inganni, ed anco i miei desiri;
E s’ella non sdegnava
Meco sposarsi, per tal via sottrarmi
A gli immensi martiri:
Tali fur miei pensieri;
Furo malvagi, e quinci
Stati sono infelici.
Io ben v’affermo, e testimonio chiamo
E cielo e terra, e quel che gli governa,
Signore onnipotente,
Mai dal petto di Clori,
Mai da quel duro core
Compresi uscir parole,
Ch’odorasser d’amore;
Sempre dardi e faretre,