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328 | POESIE |
Ma de le Ninfe qual fu sì possente
Ch’infiammasse costui?
Leu. Tu quella fosti, o Clori.
Clo. Mi motteggi Leucippe?
Leu. Non già per certo: ei così disse, e tutto
Il coro l’ascoltò de le compagne:
Clo. Ah cor villano: indegno
Di far soggiorno in questi monti: io dunque
Son tal, che dò speranza
A pensieri d’Amore?
Ma s’alcun forse prende
Di me sospetto, e pensa,
Che ’n questo abbia peccato,
Io farò sì, ch’ognuno
Vedrà, ch’io son nemica
Di questo scellerato.
Leu. Non ti dar questa pena:
Clori, non è chi ne sospetti, e vano
Fôra l’altrui sospetto.
Clo. E legge ferma, antica
De le nostre foreste,
Che s’altri guasta, o tenta
Guastar per alcun modo
L’onestà de le Ninfe, egli legato
Si tragga in mezzo l’Erimanto; ed ivi
S’abbandoni sommerso:
Non cesserò con Tirsi,
Ne con Montan fin che dannato a morte
Ne i gorghi di quel fiume
Non fia questo perverso;
Spegnerassi l’ardore,
Che sì l’accese malamente: giusto
Sarà tal refrigerio
Al foco di quel core.
Leu. Non t’accender: ben sai
Che Montano, e che Tirsi
Pastori son d’immenso senno: ed hanno
Eguale esperienza
A la lor gran bontade;
Essi daran sentenza,
E faran tal governo,
Che questi monti fioriran non meno
Per l’avvenir, che per l’addietro: io vado,
E troverolli: e qui farò venirli;
Tu poi con esso loro,
Per comune salute
Farai quelle parole,
Che parran convenirsi a tua virtute.
Clo. Ove lasciasti, dimmi,
Le nostre Ninfe? io voglio
Farmi tra lor sentire;
E che siano infiammate
A dare esempio altrui con la vendetta
D’un così fatto ardire.
Leu. Nel bosco de le quercie io le lasciai
Vicino al lago di Melampo: io stimo,
Ch’ivi le troverai.
SCENA SECONDA
Clori.
In che tempo, in che loco
Questa finta Megilla io mi vedessi,
Si che de l’amor mio
Rimaner presa ella potesse, io certo
Col pensier non ritrovo:
E da quel dì, che ne le nostre selve
A me si fe’ compagna
Fino a quest’ora ritrovar non posso
Un suo minimo detto,
Ond’io creder potessi,
Che d’amor foco le scaldasse il petto:
Un segno, un atto, un guardo
Non vidi uscir da lei,
Il qual fosse argomento,
Ch’ella qui si vivesse
Vaga degli amor miei;
Ben la vidi cortese, e di maniere
Tutte gentili adorna
Ed amabile molto; onde m’assalse
Del suo rischio mortale
Non picciola pietade:
Non per tanto io ne sgombro
Tutto il cor, tutto il petto,
Per zelo d’onestade;
Vuo’ che si vegga in prova
Da tutta quanta Arcadia,
Che’n me non si ritrova ombra d’amore:
E che contra costui
Di rabbia, e di furore
È per esser mai sempre
In questo sen tutto rigonfio il core;
Ecco dove conduce
L’amorosa ferita;
Costui correndo appresso i suoi desiri
È per perder la vita
Con disonore eterno;
E pur non si rimane in ogni parte
Di seguir follemente
Una cieca vaghezza,
Che dal dritto sentier l’uomo diparte;
O d’Amor face, e dardi,
Miseria de’ mortali,
Ma da lor conosciuta
È senza frutto, e tardi;
Fallace arciero d’invisibile arco,
Io ti sprezzo, io ti scherno;
In van m’attendi al varco,
In van la face accendi;
Per la mia libertade
In van la rete tendi; io chiaro il dico;
Sempre il nome di te fia mio nemico.
ATTO TERZO
SCENA PRIMA
Leucippe, Tirsi, Montano.
Leu. Lo strano avvenimento
Io v’ho fatto palese; a voi pertiensi
Risvegliare il pensiero
Per discreto rimedio;
A le Ninfe fia caro,
S’egli sarà severo.