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DEL CHIABRERA | 327 |
ATTO SECONDO
SCENA PRIMA
Clori, e Leucippe.
Clo. Meno, ch’io non sperai
Fatto ho soggiorno con Licasta, e meno
Di quel, che paventai,
Perdo di questo giorno;
Ella annojata da la febbre amava
Solitario riposo,
E sì come pur suole
Un’anima dolente,
Malamente soffriva
Altrui detti e parole;
Or contra mio pensiero
Goderò per le selve
Parte di questo giorno,
Che perder tutto intiero
Fermamente io credea;
Forse alcuna cervetta
Fuggirà l’arco invano,
Che per lei stenderà questa mia mano.
Leu. O meraviglia, o sdegno,
Che nel petto di Clori io veggo acceso,
Tosto el’ella l’intenda.
Clo. Ecco Leucippe, ed odo,
Che di me parla; e parmi
Turbata nel sembiante.
Ove se vai Leucippe? e che favelli
Teco medesma? e quale
Cagion si ti conturba?
Leu. O carissima Clori
Pârti credibil cosa,
Che sotto gonne, e femminili bende
La tua cara Megilla
Sia trovata esser maschio?
Clo. Vaneggi tu, Leucippe?
O pur così scherzando
Vuoi di me prender gioco?
Leu. Nè scherzo, nè vaneggio;
Racconto verità, che con questi occhi
Ho veduto pur dianzi,
In compagnia de l’altre Ninfe, cosa
Onde esse son ripiene
Di pensiero, e d’affanno:
E non senza ragion; chè s’altri ardisce
Contaminar l’onor di queste selve,
La nobil vita, e gli onorati studi
De l’Arcadica gente
Dilegueran, come ombra.
Clo. Vado fuor di me stessa
Pur ciò pensando; or dimmi
Dove fu; come avvenne?
Leu. Aveva il Sol de la celeste via
Corso via più che ’l mezzo, e consigliava
Con l’ardor de’ sui raggi a riposarsi:
E già le nostre Ninfe, altre tendendo
Gli archi contra il fuggir de’ lupi alpini,
Altre contra le damme, erano giunte
Ove tra belle quercie
In solitario campo, e puro, e queto
Allarga l’onde il lago di Melampo.
Sai quanto egli è sereno, e come invita
A rinfrescarsi nel suo chiaro argento
Gli stanchi peregrini; a pena Ninfa
Il rimirò, che rallentando il cinto
A spogliarsi prendea, e con l’esempio
Confortò le compagne; Anfigenea
Lenta non era a dislacciar la gonna;
NèTesto grande lenta era Terilla; ogn’una in somma
S’apprestava a lasciare
In quella onda tranquilla
Il sudore, e la polve; in quel bisbiglio,
In quel vario tumulto
Megilla fea sembiante
Non scender volentier ne le belle onde;
Ed avea fosco il ciglio;
Videla Filli, e con gentile sforzo
Le corse addosso, e similmente ogni altra
Con dolce violenza la spogliava;
Ed ella contrastava; e nel contrasto
Ora accendeva di rossor le gote,
Ed ora impallidiva: il rimirarla
Così turbata conturbò la mente
D’alcune Ninfe, e le pigliò sospetto
Non forse costringesse alcuna colpa
Megilla a non mostrare il ventre ignudo;
E però si guataro
Alquanto in viso: consigliolla al fine
Nisa a spogliarsi, ed ella mosse i piedi,
Atto facendo di partirsi; allora
Tutte le furo intorno; e tesero archi,
Ed abbassaro spiedi; e finalmente
La dispogliaro; e per tal guisa apparve
La cagion chiara onde ella fu ritrosa;
Grande ira sorse, e fu chi da la corda
Già spingeva lo strale a darle morte
Ma divietollo Nisa, ella commise,
Che fosse rivestita; indi legarle
Fecer le braccia, ed Aritea fu scelta
A ben cauta menarla
A queste sue capanne,
E molto ben guardarla; ed io men vado
Mandata da le Ninfe a ritrovare
Montano, e Tirsi; essi daran sentenza,
E su lo strano ardir di quel malvagio
Doveran giudicare.
Clo. Nova cosa ad udirsi.
Ma rispondimi tu; non dimandaro,
Perchè sì s’addobbasse? e sconosciuto
Qui fra noi dimorasse.
Leu. Il dimandaro; ed ei sinceramente
Confessò, che l’amore
Fervido d’una Ninfa il persuase:
Disse, che egli era amante, e non sperando
Mirar per altri modi
Quelle amate bellezze, ei si condusse
A così fatte frodi.
Clo. Disse, ch’egli era amante?
O foreste d’Arcadia, e quando mai
Tentossi per alcun di fare oltraggio
A la vostra onestade?
O ardimento degno
Di severa vendetta
Per grande esempio altrui!