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DEL CHIABRERA | 317 |
Che Teti in grembo al mare,
Ed in grembo alle nubi Iri si lagna,
E lagnasi non meno
Espero ardente in mezzo al ciel sereno.
Or tra le pompe, e gl’Imenei festosi
Ampj teatri, e scene eccelse indoro,
Espongo oggi fra loro
Al forsennato vulgo amori ascosi,
E tra bei suoni, e canti
Mostro d’antichi Dei varj sembianti.
Tempo verrà, che de’ tuoi figli altieri,
In far cantando le vittorie conte,
Sull’Eliconio monte
Io farò risuonar versi guerrieri,
Qual rimbombo di venti,
O per distrutto giel gonfi torrenti.
In tanto l’asta gloriosa, e l’armi
Non mai per forza o per insidia dome,
E del tuo Marte il nome
Impiumo si d’infaticabil carmi,
Ch’a minacciargli assalto
Strale d’Invidia non può gir tant’alto.
ATTO PRIMO
aurora, coro di cacciatori, cefalo.
Aurora.
Piaggie del ciel serene
Lasciar vostri bei lampi or non mi pento,
Tanto in terra di bene
Mi fa cercar Amor col suo tormento.
Uno de’ Cacciatori.
Cefalo sorgi, che dal cielo un Nume
Entro nembi di rose a te s’invia:
Di venerarlo, ed adorar fa segno;
Che se non ben s’onora
Eterna potestà si move a sdegno.
Cefalo.
Qual tu ti sia delle superne Dive,
Che tra’ mortali glorïosa scendi,
Sia per nostra salute il qui vederti:
Se Cintia sei, che per quest’erme rive
Col corso usato di selvaggie belve
Brami per gli occhi tuoi nuovo diletto,
Io pronto sgombrerò di queste selve.
Aurora.
Cintia non son, che a gli animali guerra
Muova con arco, e stral per le foreste:
Io son l’Aurora, e fo vedermi in terra
Per mitigar l’affanno,
Che le ferite d’un mortal mi danno.
Cefalo.
E chi fa l’empio in terra,
O bellissima Dea,
Che le celesti membra a ferir prese.
Pera l’empio, ch’offese
L’infinita bellezza,
Ch’egli adorar dovea.
Aurora.
Non pera, no, non pera,
Che non fora sicura oggi tua vita,
Non fora no sicura,
Perchè tu fosti autor di mia ferita.
Cefalo.
Lasso, deh lasso me, deh che sent’io?
Autor io d’una colpa,
Che sovra ogni altra di fuggir desio?
Forse scoccando a saettar le fere
Questo malfortunato arco t’offese
Contra ogni mio volere:
Ma se volgi il pensiero alla mia mente,
Tu lo sai come Dea, sono innocente;
Pur non sono innocente, io son ben degno
D’un’infinita pena:
Prendi questo coltello; eccoti il petto,
O bella Dea mi svena.
Uno del Coro.
Ah che disdegno ed ira,
Ah non ti turbi il petto,
Anco le vere colpe il Ciel perdona,
E con veraci esempi
Ci dimostra ogni etate,
Che nel cor degli Dei
Non può fallir pietate.
Aurora.
A miglior tempo riserbate i preghi,
Non più fate sonar voci dogliose,
Le piaghe del mio cor sono amorose,
Che i lucidi occhi tuoi Cefalo apriro,
Ne per mia contentezza altro desiro,
Che ne’ regni del ciel farti beato,
Tu le miserie umane
Fuggir oggi da te vedrai lontane,
E cangerai da questa diva amato
Il tuo caduco a sempiterno stato.
Cefalo.
O gran pregio del ciel oggi che pensi?
O compagna del Sol vuoi provar forse
S’ho riverente il cor quanto conviensi?
Ch’io tanto ardisca? Io dell’Aurora amante.
O bellissima Diva io non son degno
Di colà por le labbra,
Ove tu pon le piante.
Aurora.
Del Ciel le grazie da sprezzar non sono;
Disgombra l’umiltate a me nojosa,
A te stesso dannosa.
Uno del Coro.
Impetrerà mai fede
Narrandosi ad altrui la meraviglia
Ch’oggi per noi si vede?
Cefalo.
Tu bellezza celeste
Cerca d’un amator nel ciel sereno:
lo vile uomo terreno
Seguiterò d’amar bellezza umana
Entro a queste foreste.
Aurora.
Se terreno, e mortale
Schifi nell’alto ciel di viver meco
lo celeste immortale
Non schiferò quaggiù di viver teco.