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DEL CHIABRERA 313

     Anzi quando passando
     Vedrete Gelopea,
     Allora o cari monti,
     O care valli, o care
     Piante rimproverate
     A lei la rotta fede,
     E i rotti giuramenti.
     Ora s’io non mi inganno,
     Veggo poco lontano
     Il fenile d’Alfeo;
     Loco del quale io solo
     Non son per iscordarmi.
     Io non volli scoprire a Telaira
     Affatto il mio pensiero,
     Perchè non l’impedisse; ma per certo
     lo non sarò là dentro solamente
     Per vedere i miei mali,
     Anzi per vendicarli;
     Se Geiopea vi viene anzi l’amico,
     lo metterolla in fuga;
     Ma come vien colui
     Io raccorrollo, ed egli
     Lasciandosi ingannare a questi panni
     Mi si farà vicino, ed io con questo
     Trapasserogli il petto;
     Ciò fia per certo, or come
     Salir debbo là suso?
     Sta che per queste morse io condurrommi
     Al van della muraglia;
     E sul palco del fieno.

SCENA II

Gelopea.

L’oscuro della notte mi ha nascosto
     Il viso, e le fattezze
     Di questa traditrice,
     Ma non mi ha già nascosto il tradimento,
     Gelopea tu sei chiara,
     Gli occhi tuoi se l’han visto.
     E chi mai più fidarsi
     Dovrà d’uomini al mondo?
     Ah maledetta schiatta
     Ch’ora s’apra la terra, ed inabissi
     La razza scellerata.
     Che mi ha giovato amare?
     Che sofferire amando,
     Che si perdono i giorni più soavi
     Della mia giovinezza?
     O Berillo, se forse
     Da me ti stimi offeso,
     Non ti mettere affanno,
     Che tu sei vendicato,
     Or va poscia, e sostieni
     I gridi, e le minacce
     Del padre, e serba il core interamente
     All’amor di costui;
     Dunque per me saranno
     Solo le frodi, ed altra
     Goderà degl’inganni?
     Io la schernita? ed altri
     Goderà de’ miei scherni?
     Non fia così per certo.
     Che farai Gelopea?
     Ammazzerò costei:
     E s’ella ha cominciate
     Le non sue proprie gioje,
     Farò che sian fornite:
     Ma se per sorte non l’ha cominciate,
     Io farò si che lenta
     Fia stata a cominciarle.
     Ecco comodamente da più parti
     Posso por foco in questi fieni, e s’ella
     Tosto non se ne avvede,
     Può la fiamma annegarla, e se per tempo
     Ella pur se n’accorge; malamente
     Può, turbata dal risco, giù calarsi,
     Ch’io non le corra addosso,
     E con quest’asta non le passi i fianchi,
     E così non in tutto
     Potrò dirmi infelice.
     Orsù mettiamei all’opra;
     Lascia, ch’io tragga foco dal focile,
     Che non senza consiglio
     D’Amor mi porse di sua man Licori:
     E di queste cannuccie
     Componga una facella;
     Che si farò sentirle
     Foco altro, che d’Amore;
     Ma chi mi fa secura
     Ch’anzi, ch’io qui venissi
     Filebo dentro non si sia nascosto?
     Ed ei potrà perire
     Spento dal foco; o per fuggire il foco
     Giù ruinando a terra
     Fiaccarsi il collo, e sia;
     Fiacchisi il collo e pera;
     Perirà forse mai salvo un ingrato?
     N’avanzeran ben tanti,
     Che tradir si potrà delle fanciulle.
     Ah tirannia d’Amore;
     Non può la mano alzarsi;
     Io non ho core, or come
     Potrò certificarmi ch’egli sia
     O che non sia qui dentro?
     Lascia, ch’io corra a casa a Telaira,
     Forse non fia partito
     Ancor di casa, e stassi ad aspettando,
     Che sia notte più alta;
     S’egli non fia partito, Telaira
     Lo saprà dirmi, e s’egli
     Per avventura fia partito, allora
     Meco anderò pensando
     Sopra la mia vendetta.
     Stelle voi che vegghiate
     In cielo eternamente
     Tutte quante le notti,
     Vedeste mai, che notte si volgesse
     Piena si di dolore
     Per nessun’altra donna?
     Ecco io sono all’albergo;
     Io picchierò questa fenestra, ch’ella
     Ha letto in questa stanza.