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del chiabrera | 19 |
Chiuso negli antri oscuri
Del vasto petto della belva atroce
Trapassò d’Argo il popolo feroce
Dentro i Dardanii muri;
Nè pria sorse
Su nel ciel la notte ombrosa,
Che per Troja sanguinosa,
Greco Marte empio trascorse,
Piè di bifolchi avari
Calcò l'auree magioni arse e riarse,
E strinse il mietitor le spiche sparse
Sovra gli arati altari.
Per tai modi
Trionfaro i regi Argivi
Se non vili, almen non schivi
Delle insidie e delle frodi.
Non come fier leone
Si mostra ognuno, in campo empio di Marte
Alcun procura di acquistar con arte
Le palme e le corone;
Ma non vaga
Fosti mai di dubbie glorie,
Nè tuo stil rubar vittorie
Unqua fu, stirpe Gonzaga.
L’asta di Federico
Sonando ora su' petti, ora su’ terghi,
Orribile a mirar, ruppe gli usberghi
Del Francese nemico;
E ritolto
Scettro ingiusto all'altrui mano,
Serenò l’ampia Milano,
Che di duol turbava il volto.
Del Taro in sulla riva
Rompendo il corso dell’ingiurio estreme,
Fe' Francesco seccar barbara speme,
Allor che più fioriva;
Crudo gielo
Scosse il core al fiero Carlo,
E l'imprese, di che parlo,
Furo sposte al chiaro cielo.
Ma te, cui la lor gloria,
O di quei veri Eroi vero nipote,
E sulla sera e sul mattin percolo
Con fervida memoria;
Volgi in petto
Sul miglior de' tuoi verd’anni.
O Francesco, che gli affanni
Sanno al fin produr diletto.
Mira, che in alla sede,
Vinto d’ogni rio mostro ogni periglio,
D'Anfitrion l’esercitato tiglio,
È di gran pregi erede.
Colmo il seno
Ad ognor di pace immensa
Pasce nettare alla mensa
Degli Dei nel ciel sereno.
Alle magion superne,
Scorto dalla Virtù, tal te n'andrai,
E colassù posando almo godrai
Bevande alme ed eterne;
Or qui godi,
Che tua regia al mondo appresti
Bei licori a quei celesti
Ben sembianti in nobil modi.
XXII
PER ALESSANDRO FARNESE
duca di parma.
Febo immortal, che splendi
Per chioma d’oro in vivo alloro ardente,
Recati l’arco nella man possente,
E giù per l'aria scendi,
L'arco, non quel che lutto scuote il Polo,
Se dardi avventa d’infallibil volo.
Coa questo in nube cava
Dal ciel sereno, fulminando in guerra,
Invincibile Arcier purghi la terra,
Se mostro empio la grava;
Come ne’ di ch’ empio veneno intorno
Piton spirò tutto adombrando il giorno.
Là 've spiegava l'ali,
Struggea l’orrida peste uomini e belve;
E già doleansi al Ciel cittadi e selve
Vedove di mortali;
Ma tu vibrando le saette acute
A’ gravi mali altrui fosti salute.
Spettacolo giocondo
Mirar la fiamma de' crudi occhi estinta,
E sovra il suolo insanguinata, e vinta
Fera, che afflisse il Mondo,
Scagliosa il tergo, il sen d'aspro diamante,
Monte di tosco orribile volante.
Ma, o per l'ampia via,
Febo, che il carro della luce affretti,
Non è di mostro infame, onde saetti,
Feconda Italia mia;
Nè de' suoi figli ingiuriosa fama
Strale dal Ciel per la vendetta chiama.
Anzi laurea corona
Lor cinge i crin di bel sudor famosi;
Però l'aspra faretra or si riposi,
E quel, ch’almo risuona,
Arco su Pindo, e con le voci alterna,
Arma, o Custode, della lira eterna,
D’alma grande e gentile
Stile è spronare a gran virtude il core;
E grande in terra celebrar valore
Dol buon Permesso è stile:
Ma qual fu mai nelle guerriere imprese
Eguale Marte al gran Roman Farnese?
Ei non per altro e chiaro
Scettro goder di soggiogato Impero,
Ma per lo Vatican, trono di Piero,
Sudò dentro l’acciaro;
E fe’ cotanto sanguinose e calde
Le rive or della Mosa, or dello Scalde.
Su quelle avverse sponde,
Quale sembrò fra le nemiche genti?
Scitica tigre, che distrugge armenti,
Con esso l'unghie immonde?
O per la notte alle stagion funeste
L’orrida luce del gran Can celeste?
Sembrò per selve alpine
Foco, che in pria fumando i tronchi opprime;
Poi sull’ali dell’Austro arde sublime
Le region vicine;