Posso aver di corona,
Se contra gli avversari
Poco arò di possanza?
E cosa giusta non sperar mercede,
Se virtù n’abbandona.
Sel. Io vo’ sudare in corso,
Certo che il mio nemico
Un caldo e spesso fiato
E per trarre dal fianco,
Pria ch’ei mi vegga stanco;
E s’io non vincerò, le turbe folte
Che ci riguarderanno,
Diranno maggior lodi al vincitore,
Ma me non biasmeranno;
Or tu, che ci conforti
A travagliar negli onorati giochi,
Alcippo, che farai?
Vincesti tanti premj
Forse nel tempo andato,
Che ne sei sazio omai?
Alc. lo son per ricoprire
Le guancie di rossore,
Ma pur dirò: i premj miei, Selvaggio,
Non ti potrei contare,
Cotanti furo; il singolar valore
Dell’altrui gioventute
Non ha mai per addietro
Lasciato in questi monti
Apparir mia virtute;
Un anno io ricercai
La palma infra cursori,
Ma di più si leggier Clorindo apparve,
Che fece in mezzo al campo apparir lenti
Tutti noi, che superbi,
Nome avevam, come il proverbio dice,
Di contrastar co’ venti:
Altra volta provai,
Mia forza e mia ventura
Co’ lottatori, e pur sotto Peloro
In sulla terra andai: ultimamente
Presi a scagliar da lungi il pal di ferro,
Ed un certo Efialte
Ci spogliò d’ogni loda;
Costui sì maneggiò quel peso grave
Come con rozza mano
Lieve canna maneggia
Un robusto villano.
Rimarrebbe a provarmi
Contra i saettatori;
Ma non vo’ ricercar più disonori.
Log. Il tuo sì schiettamente ragionarmi
Sarà cagion, Alcippo,
Che teco parlerò sinceramente;
lo per li nostri monti
Guadagnai fra gli arcier tante corone,
Ch’omai mi si econvien più disiarne;
Però vo’ farti un dono,
Col qual sicuramente
Diman rimirerassi
Cotesta amica fronte incoronarsi;
Or stammi ad ascoltare.
Alc. A tuo grado favella,
Io m’acconcio ad udire, e son sicuro
Che dirai cosa graziosa e bella.
Log. Volgonsi omai quattro anni,
Che per accompagnare Alcimedonte
Feci stanza in Tessaglia,
Egli v’andò sbandito
Perch’uccise nei boschi di Liconte
Per error Licofrone;
Colassù dimorando io mi fei certo
Di ciò ch’aveva udito;
Io voglio dir siccome in quella parte
Molto fiorisce il pregio,
E d’ogni incanto la mirabil’arte.
Alc. Così parlarsi intende;
Nelle scienze orrende
Han color gran diletto.
Log. È vero; ma fra gli altri era una maga
Di peregrina fama,
Astieropea si chiama,
Costei più di una volta
Vidi cangiar nel volto della Luna
I candidi colori,
E con un cavo ferro,
Che di sua man percote
Farla gir per lo ciel colma d’orrori,
Vidila sul terreno
Tutto coperto di mature spiche
Far correr cotal nebbia,
Che in un momento a meno
Venne la messe desïata, e tanto
Alle campagne noce
Solo col suon della terribil voce;
Questo vidi io: ma per la bocca altrui
Era io fatto sicuro,
Ch’ella spesso soleva a suo talento
Chiuder la sua persona
Per entro un nembo oscuro,
E gir per l’aria lunge,
Rapida come il vento:
È general credenza,
Che con la forza de’ secreti accenti
Ella frena ed arresta
Il corso de’ torrenti.
Alc. Tale è la fè del vulgo,
Ma le teste canute
E gli uomini discreti,
Che credean di cotanta meraviglia?
lo per certo, Logisto,
Credo che chi non crede ad ogni fama
Con senno si consiglia.
Log. Io non vo’ contraddire,
Odi pur: questa maga accese il core
Per mia bellezza; ella così dicea;
E ciò ch’io le chiedea per mio diletto,
Mentre là dimorai,
Non mi negò giammai;
Venne al fin l’ora ch’io dovea tornarmi
A’ monti di Liconte,
Ed ella a ripregarmi
Con ogni forza, ch’io
Le campagne paterne
Riponessi in obblío, e ch’io facessi
Mia patria le Tessaliche foreste;
Oltra calde preghiere
Ella meco facea forti promesse,
Non di cose leggiere
Ma d’ogni sforzo della sua virtute
Non ch’altro, ella volea farmi godere
Eterna gioventute;
lo stetti alquanto in forse, e finalmente