D’inclito sangue, e nella prima etate
Non furo di danzar suoi studj primi,
Anzi cresciuta delle Muse in grembo,
Apprese di lor bocca arti sublimi;
E fatta avversa all’idolatre torme,
I vani Idoli lor pose in dispetto,
Alto consiglio; ed a’ ministri acerbi
Confessò d’adorar l’odiata Croce,
Nè di ria morte paventò periglio:
Le sagge teste, a cui la terra Argiva
Di sommo seno concedea corona,
Vinse con senno, e con nettarea voce,
E vinse aspri flagelli, e vinse orrori
Di carcer tetro, ove affamata visse;
Lungo disdegno di tiranno atroce:
Sprezzò la vista di Tartaree rote,
Macchina orrenda, ed arrotati acciari:
Sprezzò ceppi e coltelli, e mostrò come
Chi per Dio soffra, i gran tormenti ha cari.
Specchio a’ mortali, onde nei tempi acerbi
Farsi costante il core afflitto impari:
Tu nel digiun, tu fra dolor funesti,
O Sol d’Egitto, tu negli antri oscuri
Di prigione aspra rimirasti pronti
A tuo conforto messaggier celesti:
Per te nell’alto le falangi eterne
Scelsero Duci a dissipar le travi
Di ferro armate; e con la destra ardente
Per te sospinse nelle tombe inferne
L’anime ingiuste, e verso te spietate.
Nè quando uscì dall’ammirabil seno
Tuo puro spirto, del superno Olimpo
A te venne, o reïna, il favor meno;
Che Ministri di Dio su fulgide ale
Scorta gli furo, e gli fermaro albergo
Sovra i campi stellanti in bel sereno;
E la bellezza delle membra ancise
Fu dell’Arabia consignata a’ monti,
Altra Fenice; ivi del corpo spento
Ad ogni ora licore almo diffonde.
O del mondo, e del ciel grande ornamento!
Viensene poi, perchè di lui si dica,
Già pescator, Signor di poche rete,
Scuro nocchier nel mar di Galilea,
Indi gran Tifi, a far l’anime liete
Per entro l’Oceán dell’universo.
Deh per noi preghi, e ci sia scampo Andrea.
Ora dell’anno, che si muove in giro,
Omai l’ultima parte a cantar vegno.
E pria di Niccolò, che con tesoro
Dotò la povertà di tre fanciulle,
Vero di bella Caritate esempio.
Ed indi il Milanese, che sul volto
Al non pentito imperadore Ispano
Serrò le porte del sacrato Tempio.
Fassi poscia veder l’alma giornata
Ove nel grembo ad Anna genitrice
La di Dio genitrice, alta Maria
Ebbe il principio suo, sempre beata,
Sempre cara del Ciel, sempre felice,
E per noi peccator mai sempre pia.
Ma chi me stanco omai sostiene, e porge
La mano? e di Parnaso in sulle cime,
E del puro Ippocrene in sulla riva
Infra Muse celesti oggi mi scorge,
Sì, ch’io vaglia a parlar della mia Diva?
Certo, s’a contemplar l’anime pure
Prendo giammai, che su nell’alto han seggio,
Ciascuna io canto; ma ne i pregi intento,
Onde le glorie sue cresce Lucia
A lei do vanto: ella, venuta appena
Fuor dell’acerba etate, ebbe in dispregio
Mortal consorte; ed al gran Dio conversa,
Solo bramò di puritate il pregio:
Nè fralemente contra lei s’armaro
Squadre d’Inferno, e di Cocito sorse
Mal esperta milizia a darle assalto;
Nè di Tiranni scellerati in terra
Con picciol’ira s’innasprì l’orgoglio
A contrastarla; e di vaghezze avverse
Con poca pena ebbe trionfo in guerra,
Mirabile a contarsi! aspri legami
Sulle tenere membra ella sofferse:
Nè si penti della pudica impresa;
Anzi ricinta di terribil foco
Serbò suo voto, e disprezzò costante
L’orride vampe della fiamma accesa.
D’insolita pietà le turbe vinte
Parte piangean, parte di ghiaccio il petto
Isbigottian degl’infiniti ardori.
Ma la dannata Vergine gioconda
Non cangiò volto; ed in pensier superni
Alto sapea gioir de’ suoi dolori:
Deh che fu rimirar dal collo eburno
Largamente sgorgar fiumi di sangue
Sulla neve del petto? e fra le dure
Pene a soffrir di sì vicino Occaso,
Non dare un crollo? e non cangiare aspetto?
O bella, o saggia, e qui nel mondo esempio
D’alta franchezza, il benedetto giorno
De’ pregi tuoi vien nell’orribil Verno,
In cui le nevi, in cui le nubi han regno,
E giglio non abbiam, che su gli Altari
A te si dia di puritate in segno:
Ma tu ben nata, delle nostre rime
Fatti ghirlanda, e grazïosa ascolta
I nostri prieghi, o di Gesù diletta,
La tua cara pietà non ci si nieghi.
Ora sorgiunge il tempo, o buon Tommaso,
Di te cantare, e d’incensar tuoi Tempj:
Tu rivelasti il Sol per l’Oriente
A quei, che ivi vivean sotto l’Occaso
Tanto, o messo di Dio, fosti possente.
Così cotante a raccontar giojose
Giornate ho trapassate; e sonmi avanti
L’ore beate del sovran Natale;
E però che risplende alta umiltate
Nell’eccelso mistero, io de’ miei canti
Vergogna non avrò, se il suono è frale,
Che se a’ tesori del saper divino,
E del potere oggi salir volessi,
Non pur d’un Cherubin basterian l’ale.
Dunque nella stagion, che regna il gelo
Quando nel suo cammin la notte ascende,
Consigliando a silenzio alto e profondo,
In Betelemme entro una stalla augusta
Nacque l’eterno Creator del Cielo;
Uomo mortale a dare scampo al mondo:
Maria fasciollo, e nel Presepio il pose;
Forte a pensarsi ma dall’alto in questa
D’Angeli scese carolando stuolo,
Là ’ve in campagna non dormian pastori;