Raggi più tersi, e tutto illustra il mondo.
Sì dell’alma donzella il lume è grande,
Vola d’intorno a lei, pronta difesa,
Esercito divino, angeli alati;
Ed a sgombrar presuntuose nubi
Zefiri dolci van spirando fiati:
I dipinti augelletti empiono l’aria
Di care note, e rabbelliansi i boschi
Oltra l’usato lor frondichiomati:
Eran perle i ruscelli, ed ogni riva
Di rose, di giacinti e di ligustri
Sotto il sacrato piè lieta fioriva:
Per cotal guisa da’ celesti campi,
E da’ campi terreni in varj modi
Ben riverita il suo cammin forniva.
O del buon Zaccaria per tutti i tempi
Di secoli a venir nido felice!
Chi potrà celebrar le rimembranze
Delle meravigliose opre avvenute
Sotto l’angustie di quell’umil tetto?
O d’Argivi Tiranni inclite stanze,
E del Romano Imperio alberghi illustri
Altro non siete già, che antri e capanne,
E, poste in paragon, tane palustri.
Ora io deggio cantar della ben nata
Già peccatrice, e che amorosa asperse
Di lagrime pentite al Redentore
I piè sacrati, onde impetrò perdono,
E le sue colpe in lungo obblio sommerse.
Chi lusingato per le man d’Amore
Sugge veneno, e se ne corre a morte
Tra pensier egri, e chi mantien sua fede
All’empia Citerea dagli occhi allegri
Non perda speme: Maddalena spiega
Stendardi a rubellarsi, a prender armi
Contra le squadre de’ pensieri impuri.
Se ascoltiamo sue trombe, e se l’esempio
Ci fermiamo nel cor di sua franchezza,
Di nostra libertà noi siam sicuri.
Ma se fora soverchio ornar le rote
Del carro suo, perché splendesse il Sole,
Certo è studio perduto il cercar note,
Per far chiari di Jacopo gli onori;
Sole fra’ Santi: e Sol quando ei più vibra
Tersi dal colmo dell’Olimpo ardori.
Quinci ben poco indugierà l’Aurora
Il giorno a rimenar fatto solenne
Per la virtù della santissima Anna.
O bellissima Clio, che fra le stelle
Di sempiterni fior tessi corona,
Se oggi scherzo con voi, chi mi condanna?
Sciocca menzogna e popolar, che in Delo
Del Sol venisse madre unqua Latona:
Anna è vera Latona; essa ne diede
Il Sol, che diede i raggi al Sol del cielo,
Tosto che al mondo la stagione accesa
Sorvien d’agosto, ci si torna in mente
La gloria, che il Signor mostrò sul monte,
Pietoso avviso della santa Chiesa.
Ella vuol quinci incoraggiar la gente
A soffrir pene, a non schifar perigli
Per al fine veder cotanta gloria,
E vederla nel cielo eternamente.
L’alto consiglio non sprezzò Lorenzo,
Di cui fra quattro di fassi memoria:
Giovane altier, del cui vivace lume
Cresce i bei raggi suoi l’inclita Spagna.
Qual fia barbaro cor, che non ammiri
Le tue virtuti, e’ tuoi martir non piagna?
Certamente non fu belva in teatro
Fra tanti scempi, nè per uom malvagio
Apprestossi giammai strazio eotanto.
Oh destinato all’infernal baratro,
Empio tiranno, a che pur fremi? al fine
Fia degli scettri tuoi l’ira infelice,
Ed a voto vêr lui tuoi sforzi andranno:
Egli fra tanti ardor, quasi Fenice,
Bella via più rinnoverà la vita;
E raccorrallo in sull’Olimpo eterno
Il gran Senato; ma di cetre in terra
A Dio dilette, e da divote voci
Sempre cantato fia, sempre adorato.
Tu nell’Erebo orrendo, in cui si serra
L’afflittissima a Dio nemica gente,
Statti penando in quegli orror funesti:
O tigre, o mostro! ma non tempro il canto
Oggi per condannare alme perverse.
Mia cura è raccontar pregi celesti;
E s’unqua sospirai per esser forte
A tanto peso, e se dal cor profondo
Feci fervidi prieghi, acciò di Pindo
S’aprissero per me tutte le porte,
Fervidissimamente oggi sospiro.
Omai deggio far noto a’ cor fedeli,
Come l’alta di Dio Madre risorta
Esaltossi Reina in cima ai Cieli,
Chi dunque mi sostien? chi mi solleva
Sovra me stesso? e lo mio stil rischiara,
Perchè l’imprese eccelse oggi io riveli?
Posciachè, come il Sol dall’Occidente,
Ove legge fatal lasciò caderla,
Ravvivata Maria per grazia immensa,
Ritornò come il Sol nell’Orïente,
Seco la volle; e dal terreno albergo
La sublimò sovra gli Empirei chiostri
Il sovrano Monarca onnipotente;
Ed ella al mondo rivolgendo il tergo,
Cinta di bianchi e di cerulei manti,
Moveasi gloriosa a i gran viaggi,
Spargendo d’ogn’intorno un mar di fiamme,
Ed un diluvio di purpurei raggi:
Sul purissimo crin splendea corona,
Che nell’eccelsa regïon si tesse,
E quaggiuso non mai; dodici stelle,
Di cui ciascuna ognor fulmina lampi,
Che la lampa del Sol fan meno adorna,
O ch’egli sorga, o che nel mar s’immerga,
O che nel mezzo giorno infiammi i campi
Ne i caldi giorni, che al Leon sen torna;
dovunque ella appar pronta l’inchina
Dell’immenso a contar campo celeste
Ogni falange: con volubil giro
Tutte l’insegne, e con gentil rimbombo
Tutte le trombe a riverir son preste.
Angelo ivi non è, che di zaffiro
Arpa non tempri, adamantine cetre,
Lire gemmate l’adorato nome
Fan risonar per le magion beate:
Tessean per suo trïonfo inno di gloria
I popoli superni; e non mai stanchi
Facean del pregio suo lunga memoria.
Ella sul monte di Sion Cipresso,