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del chiabrera 275


Ivi pensosa, e di suo stato incerta,
     Abbassa il volto ora infocato or bianco,
     E vuol pregar, ma nella bocca aperta
     Langue la voce, e sull’uscir vien manco;
     Gran segno al fin di passïon sofferta,
     Rompe un sospir dal travagliato fianco,
     E per l’orme di quello alza infelice
     192La fredda lingua palpitando, e dice:

Non più t’affligga di Giudea pensiero,
     O rimembranza di Sïon molesta,
     Poich’alta sorte nell’Egizio impero
     Somma per te felicitate appresta:
     Quanto tesor, quanto di pregio altero
     Non gode altrove coronata testa,
     Tutto ne’ nostri alberghi a ciascun’ora,
     200Negar nol puoi, tua giovinezza onora.

Or perchè lieta e tra’ mortali appieno
     Passi l’etate in sul fiorir contenta,
     Corri fra queste braccia in questo seno,
     E di mia vita possessor diventa.
     Nè tiensi ardente in quel parlare a freno,
     Che verso il collo amato ella s’avventa;
     Ma Giuseppe di marmo il cor mantenne,
     208E per indi fuggir mise le penne.

Così la gloria con soavi note
     Del buono Ebreo rinnovellava eterna;
     E secondo la man, che la percuote,
     La cetra or alto ed ora basso alterna:
     Nè cessò di cantar, come si scuote
     La donna a colpi di sua furia interna;
     E come d’ira e di dolor confusa,
     216Fatta nemica, il già diletto accusa.

In su quel punto per gli alberghi aurati
     Dei gran rege al cospetto, eeco apparía
     Per mani industri, e per industri fiati,
     A di nuovo allegrarlo, alma armonia:
     Quattro musici in pria bossi forati
     Di spirto empiean, che ubbidïente uscía,
     E quattro diffondean dolce diletto,
     224Parto dell’arpe, ch’essi avean sul petto.

Quattro seguían, le cui sinistre dita
     Van sulle corde a vïoloni d’oro,
     E d’arco eburno l’altra man fornita
     I canti tempra, ed i silenzj loro;
     Schiera, che d’oro insino a’ piè guarnita,
     E pur succinta d’ôr l’aureo lavoro,
     Tarda movea le riverenti piante
     232Innanzi a donna di real sembiante.

E costei, che ne vien, l’altera figlia
     Dell’iniqua cognata al re diletta,
     Vergine, di beltà gran meraviglia,
     Sì tutti i cor soavemente alletta:
     Vermiglia il volto, e dalle negre ciglia
     Pure il soave sguardo arde e saetta;
     E sempre o ch’ella il posi, o ch’ella il giri,
     240Ammirabile riso ivi rimiri.

Le labbra di rubin, che almo diffonde
     Per l’aria lampi di bell’ostro ardenti,
     Perle chiudean, che le Gangetich’onde
     Perle non san nudrir tanto lucenti;
     E neve d’Appennin, che sulle sponde
     Senza offesa cadeo d’umidi venti,
     Perde suo pregio, e in paragon vien meno
     248Colla bianchezza dell’eburneo seno

Quale in nembi dipinti apparir fuori
     Suol Alba, nunzia dell’amabil giorno,
     Tale apparve costei tra’ bei colori
     Di varj veli, ch’ella avea d’intorno:
     Testi in candida seta argenti ed ori
     Facean la gonna, e di smeraldi adorno
     L’aria de’ ricchi raggi il lembo empiea,
     256Ne basso più, che sul tallon scendea.

Grave di smalti in fulgid’or cospersi
     Stringe l’ampiezza della nobil vesta
     Cinto, che a’ fianchi intorno era a vedersi
     Qual Iri, che dal ciel sgombri tempesta;
     E d’odorifer’onda i crini aspersi
     Serpeggiando ne van sull’aurea testa,
     Ove fatta di gemme era ghirlanda,
     264Che l’Inda Teti, e l’Eritrea ne manda.

Lungo monil, ben singolar tesoro,
     Gira al collo d’avorio, onde discende
     Gemma, che per ricchezza e per lavoro,
     Quasi vampa di stella, in sen le splende:
     Nè men lucide perle in anel d’oro
     All’orecchie di rose ella s’appende,
     E d’ambedue le man, pompa infinita,
     272Pur con gemme dell’India orna le dita.

Tal entro spoglie peregrine avvolta,
     E di beltate a deïtà sembiante,
     Move danzando, e studïosa ascolta
     Le leggi, che il bel suon detta alle piante;
     Quinci leggiadra ella si gira in volta,
     Or cede indietro, ora trascorre avante,
     Or inchina cortese, ora sdegnosa
     280Rivolge il tergo, ora s’affretta, or posa.

La nobil turba, che a i begli atti attende
     Sì vivace diletto indi raccoglie,
     Che da quei moti tutta immobil pende,
     Nè guardo piega, nè sospir discioglie;
     Ma l’alta danzatrice, ove comprende
     Quasi del ciglio altrui paghe le voglie,
     Dal ballo cessa, e fassi al re vicina,
     288E sì gli dice umilemente inchina:

Sommo signor, sì desiato giorno
     Non fia, che al viver tuo l’età rinnovi,
     Che ogni affanno da’ tuoi non sgombri intorno
     E sempre l’alme lor liete non trovi;
     Ma pur sopra ciascuno al suo ritorno
     Io, convien che nel cor dolcezza provi,
     E che per ogni via con lieti segni
     296Mio gran piacer manifestar m’ingegni.

Or cento volte alla real tua vita
     Ei risorga dal mar chiaro e sereno,
     Nè mai si vegga stanco alla partita
     Colmo lasciarti d’allegrezza il seno:
     Qui la luce degli occhi alma, infinita
     A terra inchina, e bel rossor non meno
     Sovra il candido volto ella dispiega,
     304Pur vergognando, e le ginocchia piega.

Il re, che udendo singolar dolcezza
     Trasse da’ saggi detti, il guardo intento
     Ferma nell’ammirabile bellezza,
     E lieto scioglie cotai note al vento:
     Vergine, del mio cor somma vaghezza,
     Vergine, de’ miei regni alto ornamento,
     Sovra ognuno a ragion bramosa sei
     312De’ miei lunghi anni, e degl’imperj miei.