D’oro contesta, e per Dedalea mano 80D’argentei scherzi varïata il lembo;
Poscia d’aurei legami ella s’annoda
Ceruleo vel sull’omero sinistro,
Cui deggia l’aura dispiegar per via:
Di leve legno, che di seta e d’ostro 85Tutto è coperto, ella guernisce il piede;
E la man poscia di rubini ingemma,
I cui vivi splendor miri la gente
Fiammeggiar sulla neve delle dita.
Al fin dell’acque e degli odor Sabei 90Tutta s’asperge, ed in maggior cristallo
La procurata sua beltà vagheggia,
Ed ivi i suoi lavor spesso corregge.
Sì dal vetro fedel preso commiato,
Esce dalla magion tutta pomposa, 95Tutta odorosa ad infiammare amanti:
Leggiadrissima i piè, lasciva il guardo,
Fassi veder ne’ Templi; indi partendo
Per ogni strada la città trascorre.
Come da rio digiun Delfin sospinto 100Per l’ampio seno dell’Egeo si gira,
Intento a depredare i pesci incauti,
Così la Donna ad involare i cori,
Pronta con gli occhi la città circonda.
Ma dentro i Tempj, e per le vie non ode 105Altro che ragionar del Gran Maestro:
Ch’egli a’ primi suoi detti al corpo estinto
Diede la vita, e nelle fredde membra
Ratto fece alloggiar l’alma partita;
Ode dirsi felice, ode beata 110Chiamarsi appien la vedovella madre,
Che cotanta dal cielo impetrò grazia:
Da sì fatta favella ella rammenta
Ciò che a lei Marta favellò pur dianzi:
Onde nel petto, già fallace albergo 115Di vani amori, ella venir s’accorge,
E non sa contrastar, nuovi pensieri;
Quinci va taciturna a’ proprj tetti,
Ivi s’asside, e l’agitata mente
Negli studj d’amor non si trastulla, 120Ma nuovo affanno, e non sa qual, l’ingombra.
Sì fattamente trapassò la luce
Del chiaro giorno, e poichè il Sol nell’onde
Tutto nascose il luminoso carro,
Non trova pace in sulle molli piume; 125Ma quando gli augelletti in caro nido
Stanchi fanno posar l’ali dipinte,
E li squamosi pesci in mezzo il mare,
E ciascuno animal sopra la terra
Sonno raccoglie, e per le selve ombrose 130Dietro le fere il cacciator non suda,
E lascia lasso il villanel l’aratro,
Ella più duri i suoi pensier volgea:
Sente nel cor profondo alta vergogna
Degli anni spesi vaneggiando, e brama 135L’anima ornar di via miglior costume.
Ma d’altra parte abbandonar non osa
I cotanti domestici diletti:
In così dura pugna ella non chiude
Gli occhi giammai, se non che presso l’Alba 140Pure il sonno l’entrò sotto le ciglia:
Ed allor di pietà vér lei sospinto
L’Angel, di lei fatto custode in prima,
Le s’appresenta, e tra gli aerei nembi
Forma si prende, che a mirarlo in volto 145La propria genitrice le rassembra;
E poi con voce di pietate, e d’ira
Così le parla: In veritate io debbo
Grazie alla morte, che mirare al mondo
Non mi lasciò di te tante vergogne, 150O non tanto per sangue, e per fortuna,
Quanto per ozio, e per lascivia illustre:
Dimmi per Dio, dove Mosè descrive
La legge, che per te così s’adempie?
Far forse l’orme immonde, che calpesti, 155Segnate da Giuditta? o pur l’esempio
Dell’antica Rachel così t’informa?
Per certo i loro amor son forte scusa
Di tua lussuria; Ah, Maddalena, omai
Pensa, che oltra la vita, che disperdi, 160Altra vita è per voi non più caduca,
Ma sempiterna: se giammai fu tempo
Da fermarsi nel cor cotal pensiero,
Oggi esser dee, poi sulla terra splende
La stagion di pietate, e di salute: 165Questa lieta stagion, questo bel giorno,
Quanto il buono Abraam, quanto bramolla
Il buon David? e a te di lei non cale,
Se non via men, che di volubil gioja?
Non così Marta; i cui consigli, o pronta 170Seguir tu devi, o reputar che indarno
Ne piangerai fra le miserie eterne.
Così forte le disse: e in grembo a’ venti
L’aeree membra egli depose, e sparve.
Ma palpitando dall’affanno interno 175La peccatrice rapida disgombra
Il sonno, e verso il ciel tende le palme,
Alto gridando: O di pietate immensa,
Divino abisso, anco dal ciel non sdegni
Invïar verso me santi messaggi? 180Così gridando ella rivolge in mente
Gli anni trascorsi, e le cotante colpe
Commesse amando, e le tessute frodi,
Onde fe’ guerra all’innocenza altrui:
Rapida allor dalle notturne piume 185Esce dispersa il crin, nuda le piante,
E grida errando nel rinchiuso albergo:
Mossa dal mondo a contrastar la legge
Da Dio formata, ebbi possanza, e forza,
Nè mai fui stanca ne’ miei proprj oltraggi; 190Dunque se contra il mondo ora mi accingo,
Da Dio commossa, anco possente e forte
Per mia propria salute esser dovrei;
Ma se l’uomo è quaggiù polvere ed ombra,
Invan di mia virtù prendo speranza, 195Padre del ciel; pur la tua destra eterna
A me fia larga di pietosa aíta,
Se a ben pregarla, ed impetrarla imparo.
Cotal dicendo il così caro innanzi
Tenero avorio de’ ginocchi piega 200Sul terren duro; e sospirando giunge
Le palme, e verso Dio prieghi rinnova:
Quanti dì, quante notti al viver mio,
Signor, donasti, io tutte in tuo dispregio
Con lungo studio a tuo malgrado ho speso: 205Ora non trasse il Sol, che a te nemica
Ogni mio senso io non mettessi in opra:
Lo sguardo, che dovea l’alte bellezze
Mirar del cielo, io sempre a terra il tenni;
Le labbra, che dovean preghiere e lodi 210Alla tua gran bontà, furo maestre