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14 | poesie |
In memorabil schiera
Già mille Duci uscirò:
Cotal Arno rimiro
De' gran Medici tuoi numero invitto;
Ma mia cetra e mia mente
Argo non è possente
A far con tanti Eroi sommo tragitto.
Io con Giovanni solo
Farò de' remi un volo.
Umile di lui speme
Fiero Aquilon disperga,
E già tra l’onde estreme
L'involva e la sommerga:
Alla co’ Regi alberga
Virlute, che del ciel guarda le porte:
E se fede mortale
In questo corso è frale,
I gemelli Ledei rendanla forte.
E 'l nipote sovrano
D’Eaco e d’Oceano.
Qual non colse corona
D’eterna altera gloria
La destra onde risuona
Più fresca ognor memoria?
Lume d’ogni altra istoria
Al sol d’Achille disparisce e cedo.
E cesse armata in guerra
Già la Meonia terra.
Là ’ve ci condisse procelloso il piede,
E delle turbe oppresse
Fe' sanguinosa messe.
Vaga Vergine orrenda,
Sul Xanto allor sen venno,
Ivi vibrò tremenda
Termodontea bipenne;
Ma poco al fin sostenne,
Benchè si forte la Tessalic’asta,
Che trafitta il bel seno,
In sull'ampio terreno
La guancia impresse scolorita e guasta
E gio per Paria ombrosa
L'anima disdegnosa.
Posso l’acerbo ed aspro
Fato narrar il Cigno,
Ma petto di diaspro,
La lingua di macigno
Chiede il cauto sanguigno
Dell’iraconda insuperabil destra
Steso Troilo, stese
Ettore, e lo scoscese,
Quasi infocalo tuon, pianta sllvestra:
Stese Mennone ancora
Lagrime dell’Aurora.
Or su, non solo infonde
Apollo arte di cetra,
Ma d’Aganippe all'onde
Presagio anco s’impetra.
Lo stral di mia faretra
Trarrò, che solo in verità s'acqueti.
Qual per cotanti illustri
Tra gli Escidi illustri
È il figlio altier della cerulea Teti.
Tal fia quinci a mille anni.
Tra i Medici Giovanni.
XIV
per lo medesimo.
Muse, che palme ed immortali allori
A’grandi Eroi nudrite,
Voi lungo Anfriso udite
Tra dolcissimi augelli i più canori,
E dove Filomena a pianger move,
Sì dolcemente ella non piange altrove.
Ivi, a disacerbar sua pena interna,
Scioglie la voce ai venti,
Ed a' soavi accenti
Iti la piaggia, Iti la valle alterna;
E del bel fonte alla sacrata sponda.
Sì muta Eco non è, che non risponda.
Ben fur, ben di natura alto consiglio,
Quelle sue note scorte
Perchè l’amara sorte
Ella potesse lacrimar del figlio;
E di suo strazio dimostrar pietate,
Almen nelle sembianze trasformate.
Or sì soavi accenti io non indarno,
Dive, chieggo in mercede,
Io peregrino il piede
Vado affrenando alle chiar’onde d'Arno;
Bramoso di scolpir sull’aurea riva
Marmo d’onor, che lungamente viva.
S’oro non è, ch’alto valor gradisca,
Ma d’Elicona il fiume,
Ben saria vil costume,
Grazia negar, perché virtù languisca;
Dunque su per l'eterne aure serene
Aggiano i Cigni suoi l’armi Tirrene.
Elle non tra i confin del patrio lito,
Quasi belve in covili,
Ma fero udir gentili
Per le strane foreste aspro ruggito.
E già il gran Tebro al mar sen gio dimesso,
Porsenna udendo minacciar dappresso.
Ma se antico valor Febo sublima
Fa non certa memoria;
Io di novella gloria
Vo’ dir, che di tutt’altre ascende in cima;
E meco arida invidia invan contende,
Sì de’ Medici il Sole almo risplende.
Quale Orion, qual fu per l'onde Arturo
Indomito, nemboso:
Qual fulmine fragoso,
Che squarcia delle nubi il grembo oscuro;
Che turba il mar, ch'empie d’orror la terra,
Tal fu la destra di Giovanni in guerra.
Egli or sull'Alpe, or in sentier palustri,
Or con lancia, or con spada,
Or calpestra, or dirada,
Or di gran sangue apre torrenti illustri;
Or le Torri, or le Terre arde, e distrugge
Lo sparge indi per alto aura, che fugge,
Odi che lunghi onor, che lunga tela
Tesse il bel nome altero!
Ma per lungo sentiero
Or di gran sangue apre torrenti illustri;
Chiede nave a solcar più d'una vela;