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del chiabrera | 13 |
Care Muse dell’Arno, eccovi in parte
La nostra gloria intera,
Io pur com'uom, cui suo valor disfide,
Con strette labbra da lontan l'inchino;
Fate voi, che altamente
Parnaso e Pindo ne risuoni e cante:
XII
Non perchè umile in solitario lido
Ti cingono, Savona, anguste mura,
Fia però, che di te memoria oscura
Fama divulghi, o se ne spenga il grido;
Che pur di fiamme celebrale e noie
Piccola stella in Ciel splende Boote.
Armata incontro al Tempo, aspro tiranno,
Fulgida sprezzi di Cocito il fiume.
So quai ruote di gloria, o su quai piume
I tuoi Pastor del Vatican non vanno1?
Coppia di stabilir sempre pensosa
La sacra dote alla diletta sposa.
E qual sentier su per l'Olimpo ardente
Al tuo Colombo mai fama rinchiude?
Che sopra i lampi dell’altrui virtude
Apparve quasi un Soll per l'Oriente,
Ogni pregio mortai cacciando in fondo;
E finga quanto ei vuol l'antico mondo.
Certo da cor, ch’alto destin non scelse
Son l'imprese magnanime neglette;
Ma le bell'alme alle bell'opre eletto
Sanno gioir nelle fatiche eccelse;
Nè biasmo popolar, frale catena,
Spirto d'onore, il suo cammin raffrena.
Così lunga stagion per modi indegni
Europa disprezzo l'inclita speme,
Schernendo il vulgo, e seco i Regi insieme,
Nudo nocchier promettitor di Regni;
Ma per le sconosciute onde marine
L'invitta prora ei pur sospinse al fine.
Qual uom che torni alla gentil consorte,
Tal ci da sua magion spiegò l'antenne;
L’Ocean corse, e i turbini sostenne,
Vinse le crude immagini di morte;
Poscia dell’ampio mar spenta la guerra,
Scorse la dianzi favolosa terra.
Allor dal cavo pin scende veloce,
E di grand'orma il nuovo mondo imprime;
Nè men ratto per l'aria erge sublime
Segno del ciel, l'insuperabil Croce;
E porge umile esempio, onde adorarla
Debba sua gente; indi divoto ci parla:
Eccovi quel che fra cotanti scherni
Già mi finsi nel mar chiuso terreno,
Ma delle genti or più non finte il freno
Altri del mio sudor lieto governi:
Senza regno non son, se stabil sede
Per me s’oppresta alla cristiana Fede.
E dicca ver; chè più che argento ed oro
Virtù suoi possessor ne manda alteri:
E quanti, o Salluoro, ebbero imperi,
Che densa notte è la memoria loro?
Ma pure illustre per le vie supreme
Vola Colombo, e dell'obblio non teme.
XIII
Quanto Anfitrite gira
Sul carro ondisonante.
Quanto quaggiù rimira
L’occhio del Cielo errante;
Mentr’ei va fiammeggiante
L'orrida notte saettando intorno;
Non ha regno sì vile,
Che di cosa gentile
Alla sentenza altrui non sembri adorno;
Ma per pregio sublime
Aman le glorie prime.
Alma messe d’odori,
Avorj preziosi,
Oriental colori
Fan gli Arabi famosi,
Gl’Indi novelli ascosi,
Già da Nettun caliginoso ed otro,
I cui campi profondi,
Con zefiri fecondi.
Solcò primiero il Savonese aratro,
Hanno d'oro i lor fonti,
E d’oro hanno i lor monti.
Ben al pensiero alato
Andrian le note appresso
Ma non senza peccato
È lungo dir concesso;
Ma qui dal bel Permesso
Mandan le Muse violate il crine?
Perchè sul vario canto
Tessa d’Italia il vanto;
La qual se d'ogni onor varca il confine,
È sol, che i frutti suoi
Sono immortali Eroi.
Non ha Castalia nostra
Oggi Muse sì mute,
Che senza biasmo in giostri
Escon oro e virtute:
Or tu saette acute,
Anima, chiedi al biondo arcier di Delo:
E s’ei le dà pungenti,
Sian segno i lumi ardenti.
Onde s’instella di Toscana il Ciclo,
Gli altri Italici egregi
Avran poscia lor fregi.
Qual dall’eccelsa fera,
Che i Frigj boschi ordiro,
- ↑ La famiglia Della Rovere di Savona diede due papi, Sisto IV e Giulio II. Furono principi intraprendenti e guerrieri; e il secondo riconquistò ed assicurò alla Chiesa gli Stati che il poeta chiama la sacra dote.
- ↑ Giovanni, figlio naturale del granduce Cosimo I, fu molto adoperato in pace e in guerra dal fratello Ferdinando I e dal nipote Cosimo II. Militò con gloria sotto A. Farnese nelle Fiandre; fu Generale della Repubblica di Venezia. Dovette la sua grande reputazione a’ suoi talenti per a fortificazione e per l’artiglieria; nella quali arti di guerra in quel secolo avevano gli Italiani in preferenza su tutti. Morì nel 1621.