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246 | poesie |
XXII
SCIO
ALL’ILLUSTRISSIMO SIGNORE
IL SIG. PIER GIUSEPPE GIUSTINIANI
O bella Euterpe, che di Pindo il regno
Con aurea cetra rassereni, o Diva,
Che altrui di chiari spiriti empi l’ingegno
4Con le belle acque dell’Aonia riva,
A’ miei stanchi pensier porgi sostegno,
Sicchè ascosa memoria al mondo io scriva,
Onde possa colmar nobili cuori
8Pur di diletto, e me medesmo onori.
Già di Scio nella terra, alma Isoletta
Fra’ regni Argivi, alla stagion felice
Una Donna ci naque al ciel diletta,
12Che detta da ciascun fu Callinice:
Costei l’etate inferma e pargoletta
Crebbe con Melibea sua genitrice,
Che Erasto il genitor dopo non molto
16Il natale di lei giacque sepolto.
Ella per nobiltate e per tesori
Splendeva altiera, e s’adeguava a’ regi
E cresceva ornamento a tanti onori
20Con eccellenza di costumi egregi;
Ma della sua beltà gli almi splendori
Vili facean di tutta l’Asia i pregi,
Ed ogni donna invidiava, come
24Di Callinice risonava il nome.
Qual se il carro nel mar Febo rimena,
Espero i raggi ha di vibrar costume,
Tal sotto la sua fronte alma e serena
28Degli occhi ardenti sfavillava il lume;
E qual tenera rosa in piaggia amena
Tra fresche aurette al mormorar del fiume,
Su cui vampa di Sol mai non percote,
32Tal di vivo rossor splendean le gote.
Appo il collo gentil sembrava oscura
Neve caduta su per gioghi alpini,
Ne l’ambra in paragon giva secura
36Con lo splendor degl’increspati crini:
Ambe le labbra, a cui fidò natura
I sorrisi d’Amor, parean rubini,
Ed ivi perle si scoprian talora,
40Che sul Gange non vide unqua l’Aurora.
Queste bellezze ad infiammar la gente
Ornar soleva; ed or cerulea veste
Spargeasi intorno; e si chiudea sovente
44In ricche gonne, e tutte d’or conteste:
Spesso di più color manto lucente
Apparir la faceva Iri celeste,
Quando sue pompe dispiegando intorno
48Chiaro promette, e più sereno il giorno.
Ma lucido oro i suoi desir non prese,
Ne ciò che d’ostro la Fenicia aduna,
Anzi avea di vestir le voglie accese
52Sempre di seta tenebrosa e bruna;
E seco a mezza notte, in mezzo il mese
Allora scorno sofferia la Luna:
Sì fattamente dalle spoglie negre
56Spandea di sua beltà le luci allegre.
Quinci la gioventute alti sospiri
Per lei traea dall’infiammato fianco;
Nè dall’assalto di sì bei desiri
60Spirto allor fu che rimanesse franco;
Ma vinto dall’angosce e da i martiri
Osman sovra ciascun ne venia manco,
E distruggendo il cor pena infinita
64Menava l’ore in miserabil vita.
Ei nacque in Lesbo; e singolare erede
Rimaneva a Giaffer, ch’empio di core,
Abbandonata di Gesù la fede,
68Fessi schiavo de’ Turchi al Gran Signore;
E corseggiando, ed adducendo prede
Lunga prova mostrò del suo valore,
Sicchè illustre nell’armi infra più chiari
72Fatto Ammiraglio, comandava a’ mari.
Onde arricchito alta magione egli erse
Dentro Bisanzio; indi partito Osmano,
Peregrinando la bellezza ei scerse,
76Che tanto udiva celebrar lontano;
Ed ella con tal forza il cuor gli aperse,
Che a risaldarlo fu la speme invano,
Nè mai poscia di là mosse le piante;
80Sì fortemente ivi divenne amante.
Misero! che mai sempre il passo ha lento,
La fronte bassa, impallidito il viso,
Ed in bando gli tiene il fier tormento
84Dagli occhi il sonno, e dalla bocca il riso;
E per tal via d’ogni allegrezza spento
Ha sempre in Callinice il pensier fiso,
Ne della patria il punge unqua desío,
88Ed ha posto se stesso anco in obblío.
Sol per ogni contrada, e a ciascun’ora
Imprime l’orme alla donzella appresso,
E le mostra il desir, che l’innamora
92Con umil cor nella sembianza espresso:
Ma da quella beltà, perch’ei non mora,
Pietoso sguardo non fu mai concesso,
Nè mai segno gli diè, che fosse accorta
96Dell’alta fiamma, che nel seno ei porta.
Ed egli ardendo volentier sostiene
La feritate, in aspettar, che Amore
Modo gli presti di contar sue pene
100A lei, che lo nudrisce in tanto ardore:
Ed ecco la giornata al fin sen viene
Sì desiata da sfogare il core,
E da far manifesto il suo desire:
104Ma nulla ne trasse ei, salvo il morire.
La bella donna alla stagion nojosa,
Che fa più grave il Sol sentirsi al mondo,
Cercar solea per la campagna ombrosa
108Il bel fiato di Zefiro giocondo;
Ed avea stanza dentro un bosco ascosa,
Lungo un ruscello di una valle in fondo
Comodamente alla città vicina,
112Nè lunge al risonar della marina.
Nobile albergo, che di selce dura
Opra di gran scarpelli al ciel s’ergea,
E dentro con lavor d’aurea pittura
116Mirabilmente agli occhi altrui splendea;
Ma fuori intorno alle marmoree mura
Del chiarissimo rio l’onda correa,
Ed ivi quasi di Meandro al fiume
120Stavansi i Cigni dalle bianche piume,